Cultura e Spettacoli

In un'epoca di superficie l'arte ci porta in profondità

In un'epoca di superficie l'arte ci porta in profondità

Paragonare l'arte del presente con l'arte del passato sembra un esercizio assurdo, qualcosa di simile al famigerato confronto delle mele con le pere. E invece un senso ce l'ha siccome le due arti non vivono in due pianeti remotissimi ma sono in crudele competizione alimentare, contendendosi la preziosa attenzione del pubblico. La stragrande maggioranza delle persone che affollano le mostre dedicate a Leonardo e Caravaggio non andrà mai a vedere la mostra di un pittore italiano vivente, sia perché non c'è tempo per tutto sia perché sull'arte contemporanea gravano almeno due pregiudizi. Pregiudizio numero uno: l'arte del presente è sempre e comunque inferiore all'arte del passato. Pregiudizio numero due: quella del presente è un arte riservata agli addetti ai lavori, comprensibile solo ai laureati con tesi su Deleuze.

Per cercare di smontare preconcetti e vincere pigrizie, nell'ambito della mostra del Premio Eccellenti Pittori-Brazzale (Museo Le Carceri, Asiago, fino al 15 settembre) ho organizzato un dibattito con due vincitori del Premio che guarda caso sono fra i nostri pittori teoricamente più ferrati: Nicola Verlato e Giovanni Gasparro. Abbiamo parlato davanti a un folto pubblico nella sala consiliare del Municipio di Asiago dove tanto per cominciare ho accusato i passatisti di slealtà. È sleale fare confronti con la pittura del passato, perché il passato della pittura italiana è lungo almeno otto secoli e non si possono gettare otto secoli addosso a questi nostri pochi anni... È sleale fare confronti con l'epoca della Chiesa committente e delle Signorie committenti: le Signorie sono morte e la Chiesa non si sente tanto bene... È sleale fare confronti con gli artisti valorizzati dalla Chiesa iconofila: oggi la Chiesa oltre a commissionare poco commissiona male (cristianamente male), ossia chiese spoglie e mostre di arte astratta, come l'attuale mostra di Sidival Fila al museo diocesano di Trento... È sleale fare confronti con gli artisti fioriti prima di Duchamp: a partire dal terribile Pisciatoio l'arte sembra poter essere qualsiasi cosa e oggi un pittore deve combattere innanzitutto contro tale confusione... È sleale fare confronti con gli artisti pre-digitali: oggi ogni artista deve competere ogni giorno con un numero di immagini superiore al numero di immagini che un uomo del Rinascimento poteva vedere nel corso di tutta la sua vita... È sleale fare confronti con secoli che all'arte chiedevano eternità: l'odierno tempo nichilista chiede all'arte di rappresentare il suo nulla e dunque di svanire...

Verlato non può non concordare sul crollo della committenza ecclesiastica ma su alcuni punti dissente: «Le innumerevoli immagini che ci circondano non fanno altro che mostrare l'evanescenza del 999 per 1000 di esse, e senza volerlo fanno risaltare le immagini dipinte. Bisogna superare certe interpretazioni del ruolo dell'arte nell'epoca della sua riproducibilità. Secondo Benjamin (e moltissimi altri filosofi) l'arte era destinata a una fine infausta»... Si sono sbagliati tutti? «Certo, la pittura è viva e vegeta e desiderosa di riconquistare gli spazi sottratti, a cominciare da quelli pubblici, vedi il fenomeno street art». Non è così spiacevole essere confutati, se la confutazione apre spiragli di ottimismo. Verlato, artista iper-figurativo di riconosciuto talento (Biennali, Quadriennali, Palazzi Reali, mostre internazionali nel suo curriculum) e inoltre, ciò che più conta in questa sede, di costante aggiornamento teorico, insiste a pensare positivo: «Come ci spiegano la teoria dei neuroni specchio e i paper di Freedberg & Gallese, gli esseri umani sono tarati neurologicamente per apprezzare le immagini dipinte e non c'è nichilismo che tenga, un dipinto esercita un'attrazione che non può essere esercitata da nessun'altra immagine. L'opera d'arte dipinta e scolpita è proprio il più potente antidoto contro il nichilismo!».

Con Gasparro rientro nell'alveo del mio consueto pessimismo. Sull'arte derivata da Duchamp il piccolo principe della nuova arte sacra, cattolico di sensibilità preconciliare, interviene così: «La stagione artistica contemporanea è figlia del pensiero gnostico. Il mutamento dell'arte da oggetto percepibile coi sensi a concetto è chiaramente luciferino». È altrettanto chiaro che non riceverà commissioni da parte dei gesuiti, il cui capo ha appena detto al Meeting di Rimini che il diavolo non esiste. Gli chiedo se sente odore di zolfo anche nell'interesse di un certo clero per l'astrazione: «Le forme astratte non permettono la trasmissione di un messaggio chiaro e in questo c'è un'analogia con la verbosità dei pronunciamenti magisteriali e dell'omiletica attuale. Non si vuole più definire il confine fra bene e male...».

Ad Asiago spero di avere incrinato almeno il pregiudizio di un'arte contemporanea sempre incomprensibile e autoreferenziale: Verlato e Gasparro non vivono separati dal mondo, la loro pittura è impregnata di storia dell'arte così come dei conflitti del presente. Il cardinale Daniélou disse che l'arte consente di «percepire la profondità del reale». Dunque chi si rifiuta di ammirare l'arte del 2019 (in mostra al museo di Asiago molti quadri hanno ancora il colore fresco...) è condannato a vedere, del nostro tempo, solo la superficie.

Sottilissima e stupidissima.

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