Pillole reali

Dalla gravidanza ai servizi segreti: 25 anni senza Lady Diana

Tutti i misteri e le teorie di complotto che ancora circondano la morte di Lady Diana. Ma c'è una certezza: se la principessa e Dodi al-Fayed avessero indossato le cinture di sicurezza sarebbero ancora vivi

Dalla gravidanza ai servizi segreti: 25 anni senza Lady Diana

Dopo 25 anni i giornali e l’opinione pubblica si chiedono ancora se la morte di Lady Diana, il 31 agosto 1997, sia stata solo una fatalità, o il risultato di un piano per uccidere la principessa. Per la verità molti dei presunti misteri intorno a quella sera avrebbero spiegazioni razionali, del tutto plausibili. Forse dovremmo chiederci se questi enigmi abbiano davvero ragion d’essere o siamo noi, in un certo senso e inconsapevolmente, a tenerli in vita, perché siamo incapaci di accettare la scomparsa prematura, inaspettata, perfino banale di una donna che era diventata un mito insuperabile già in vita.

Un’auto malandata

A mezzanotte e venti del 31 agosto 1997, ultima sera della loro vita, Diana e il fidanzato Dodi al-Fayed salirono sull’auto che avrebbe dovuto portarli in rue Arséne Houssaye, vicino all’Arco di Trionfo, dove si trovava l’appartamento di Dodi. Non arrivarono mai. La loro esistenza si infranse contro il tredicesimo pilone del Tunnel dell’Alma. La macchina su cui viaggiava Diana, una Mercedes nera S280 nera, sarebbe stata un vero e proprio rottame. Dal libro “Qui a tué Lady Di.”, scritto dai giornalisti del Paris Match Pascal Rostain, Bruno Mouron e Jean Michel Caradec’h, emerge che l’auto sarebbe stata acquistata nel settembre 1994 da un manager francese, Eric Bousquet, per 85mila euro. Nel gennaio 1995 un carcerato, durante un permesso, l’avrebbe rubata, causando un incidente a 160 km/h. Al proprietario venne sconsigliato di farla riparare, poiché l’auto sarebbe stata danneggiata irrimediabilmente. Un carrozziere forse poco interessato alle questioni di sicurezza sarebbe riuscito a ripararla e a rivenderla per 40mila euro alla Etoile Limousines. La Mercedes venne noleggiata dal Ritz. A quanto pare nessuno degli autisti voleva guidarla: stando alle ricostruzioni i freni erano compromessi e la macchina non teneva la strada oltre i 60 km/h. Una leggerezza incredibile che, forse, ha avuto un ruolo non secondario nella morte di Diana.

Un autista ubriaco?

Quella notte fatale, per scortare Lady Diana, venne chiamato il responsabile della sicurezza, Henri Paul. In quel momento l’uomo non era in servizio e, stando alle ricostruzioni, avrebbe bevuto diversi Pernod. Pur di seminare i fotografi, l’autista avrebbe premuto sull’acceleratore fino a perdere il controllo dell’auto. Ma non sarebbe stata solo la velocità a causare l’incidente mortale. Henri Paul si sarebbe messo alla guida con un tasso alcolico di 1,82 g/l, cioè tre volte il livello consentito. I genitori dell’uomo, Jean e Giselle Paul, si sono sempre opposti a questa versione dei fatti, tanto da chiedere un test del Dna per provare che il sangue analizzato fosse proprio quello di Henri. L’esame, come riportò la Bbc nel 2006, dimostrò che il sangue era dell’autista, il quale guidò la Mercedes nera a velocità folle (160 km/h) e abbagliato dai flash dei fotografi, mentre era completamente ubriaco e sotto l’effetto di antidepressivi. Però Lord Stevens, di Scotland Yard, precisò: “…Il campione di sangue di Paul…fu preso dalla cavità toracica e non dal cuore, il che ha portato molti a credere che fosse stato scambiato o non appartenesse al suo corpo”.

La misteriosa Fiat Bianca

Prima di schiantarsi nel Tunnel la Mercedes di Dodi e Lady Diana sarebbe stata tamponata da una Fiat Uno bianca che si stava immettendo in Voie Pompidou. Non sarebbe bastata questa breve collisione a far perdere il controllo della macchina a Henri Paul, però gli inquirenti francesi iniziarono una vera caccia all’uomo. Partirono da poche tracce di vernice lasciate dalla Fiat sull’auto della principessa, ma per molto tempo sembrò di aver a che fare con una vettura fantasma. Finché i sospetti non si concentrarono su Le Van Thanh, tassista e culturista parigino. Nel 2006 suo padre rivelò che poche ore dopo l’incidente il giovane avrebbe svegliato suo fratello, un meccanico, chiedendogli di aiutarlo a ridipingere di rosso la sua Fiat. Le Van Thanh venne ascoltato dalle autorità francesi, ma si rifiutò di collaborare con quelle britanniche. Non solo: in un primo momento negò di essere l’uomo misterioso alla guida della Fiat bianca, ma nel 2019, a proposito della possibilità di andare a Londra per essere ascoltato da Scotland Yard, dichiarò: “Sapete cosa mi ha detto la polizia francese? ‘La legge non è come qui in Francia, non andare'”. Lord Stevens ha detto a Thanh: “Crediamo che lei fosse alla guida di quella Fiat Uno, ma non la riteniamo colpevole dell’incidente. Ci sono stati errori da parte delle autorità francesi…”. Non c’è la sicurezza che la macchina presente vicino al Tunnel il 31 agosto 1997 fosse la sua. Le Van Thanh, comunque, non vorrebbe più ricordare cosa accadde quella notte e tantomeno parlarne ai giornali.

Dal Tunnel dell'Alma all’ospedale

A mezzanotte e ventitré La Mercedes, dopo aver attraversato rue Cambon e Place de la Concorde, si schiantò contro il tredicesimo pilone del Tunnel dell’Alma. A mezzanotte e trentadue arrivò l’ambulanza. All’una i pompieri riuscirono a estrarre la principessa dalle lamiere. Venne rianimata in seguito a un arresto cardiaco e caricata sul veicolo all’una e diciotto. All’una e trentadue Dodi al-Fayed venne dichiarato morto. L’ambulanza che trasportava Diana partì verso l’ospedale Pitié-Salpêtrière, che dista sei chilometri dal luogo dell’incidente, solo all’una e quarantuno (benché altre fonti dicano l’una e venticinque). Arrivò a destinazione alle due e sei minuti. Un tempo interminabile, forse troppo lungo, dovuto a diversi fattori: in Francia le ambulanze sono tenute a rispettare una velocità moderata per evitare sobbalzi ai pazienti. Inoltre, nel caso specifico, il mezzo si sarebbe fermato durante il tragitto, poiché Diana, di nuovo in arresto cardiaco, avrebbe avuto bisogno di una iniezione di adrenalina. Il dottor James Colthurst, amico della principessa, disse a tal proposito all’Express: “Ritengo che se si fosse fatto più in fretta i chirurghi avrebbero avuto maggiori possibilità di salvarla. Naturalmente le sue ferite erano molto gravi, ma i ritardi con cui sono state diagnosticate hanno avuto conseguenze letali per la sua sopravvivenza”. Il cardiologo di fama internazionale Stephen Ramee ha aggiunto: “Noi riteniamo che ci sia una sorta di ‘ora d’oro’ per salvare la vita di qualcuno coinvolto in un incidente o colpito da un attacco di cuore…Sono convinto che se avessero trasportato Diana in un centro traumi il più in fretta possibile…probabilmente sarebbe ancora viva”.

Lady Diana imbalsamata

Una delle teorie di complotto che non hanno conosciuto oblio in 25 anni è quella secondo cui il corpo di Lady Diana sarebbe stato imbalsamato per nascondere una presunta gravidanza, un possibile figlio di Dodi al-Fayed che, in quanto musulmano, avrebbe rappresentato uno scandalo senza precedenti per la Corona (si disse persino che Diana si sarebbe convertita all’Islam, ma non ci sono prove, anzi, la teoria della conversione è un cliché che sa di leggenda metropolitana). Un’ipotesi strenuamente difesa dal padre di Dodi, Mohammed al-Fayed, da sempre convinto che la principessa e il figlio siano stati uccisi proprio perché personaggi scomodi per la monarchia britannica. In realtà l’imbalsamazione del cadavere di Diana si sarebbe resa necessaria in vista dell’arrivo del principe Carlo, dell’allora presidente francese Chirac e delle sorelle della principessa, per l’ultimo saluto. Quanto alla gravidanza, non sembrerebbe una possibilità attendibile. Prima della famosa crociera con Dodi Lady D. avrebbe trascorso un periodo di vacanza con l’amica Rosa Monckton, la quale asserì che la principessa aveva avuto il ciclo mentre era con lei. Il patologo forense che effettuò l’autopsia sul corpo di Diana, Richard Shepherd, disse al Daily Mail: “Patologicamente non c’erano prove che la principessa Diana fosse incinta”. Andre Lienhart, medico francese che valutò, ai fini delle indagini, le operazioni di soccorso quel 31 agosto, dichiarò: “L’autopsia prova che Diana non era incinta…ciò che è certo è che non portava la cintura di sicurezza e questo ha peggiorato le cose”.

Paura di morire

Lady Diana sarebbe stata terrorizzata all’idea di essere uccisa, forse dal principe Carlo o dai servizi segreti. Nell’ottobre 1995 la principessa avrebbe confidato al suo legale, Victor Mishcon, di temere per la sua vita. Qualcuno avrebbe voluto “sbarazzarsi di lei”, magari causare un incidente d’auto in cui “sarebbe morta o sarebbe rimasta gravemente ferita”, entro l’aprile del 1996. Così le avevano riferito “fonti affidabili”. Inoltre, in una lettera scritta nel 1996 e affidata a Paul Burrell, che la rese pubblica nel 2003, la principessa confessò: “Sono seduta qui, al mio tavolo, oggi, in ottobre, con il desiderio che qualcuno mi abbracci e mi incoraggi a essere forte, ad andare avanti a testa alta. Questa particolare fase della mia vita è la più pericolosa…Mio marito sta pianificando un incidente nella mia macchina, un guasto ai freni per causare un grave trauma cranico”. Nulla è mai stato provato. Con buona probabilità, però, i timori di Lady Diana erano diventati ossessioni, paranoie aggravate anche dalle false prove prodotte dal giornalista Martin Bashir per ottenere la celebre intervista del 1995 alla Bbc.

Colpa dei servizi segreti?

La principessa del popolo avrebbe nutrito una particolare avversione per i servizi segreti britannici, indicandoli come possibili esecutori di un suo eventuale omicidio. L’ex guardia del corpo di Diana, Lee Sansum, ha proposto una versione, diciamo così, parallela a questa: “In genere eravamo seguiti dall’MI5, era la prima volta che vedevamo le forze speciali…Un testimone alla guida di un’utilitaria che viaggiava davanti alla Mercedes a Parigi la notte dello schianto ha dichiarato di aver visto una motocicletta ad alta potenza sorpassare l’auto pochi secondi prima dello scontro. Un altro testimone che viaggiava nella direzione opposta ha notato una seconda moto sterzare per evitare i rottami e proseguire senza fermarsi. Quei due centauri non sono mai stati trovati e non è un caso…Credo che gli agenti di sicurezza che seguivano Diana potrebbero aver inavvertitamente causato l’incidente, oppure essere stati nelle immediate vicinanze quando accadde. Ma se Lady D. avesse indossato le cinture di sicurezza, probabilmente si sarebbe salvata”. Un collega avrebbe riferito a Sansum di aver visto un uomo dell’Unità di ricognizione speciale aggirarsi vicino alla dimora di al-Fayed, nel Surrey. Purtroppo anche questa teorie non è suffragata da prove e rimane nel campo delle supposizioni.

Dodi o Hasnat?

Lady Diana era davvero innamorata di Dodi al-Fayed, oppure lo stava usando per far ingelosire quello che per molti era il suo vero amore, il cardiochirurgo pakistano Hasnat Khan? Un mistero collaterale nella morte della principessa del Galles e a cui nessuno ha mai saputo dare una risposta definitiva. Diana conobbe Hasnat il primo settembre 1995, mentre era nella sala d’aspetto del Royal Brompton Hospital con la sua amica e agopunturista Oonagh Toffolo. Entrambe aspettavano notizie del marito di Oonagh, a cui era stato applicato un bypass il giorno precedente. Fu proprio l’agopunturista a presentare Hasnat a Diana. Durante quel primo incontro sembra che il medico, molto preso dal suo lavoro, non abbia prestato molta attenzione alla principessa. Quest’ultima, invece, sarebbe rimasta colpita, tanto da confidare all’amica: “Oonagh, non è bellissimo? E che bel nome, Hasnat Khan”. Lady D. non sapeva il nome del dottore, pare lo abbia letto sulle sue scarpe. Nel febbraio 1996 e nel maggio 1997 organizzò due viaggi in Pakistan per conoscere la famiglia del suo fidanzato. Hasnat Khan, però, non sarebbe riuscito a sopportare le pressioni dei tabloid, lo schiacciante impatto mediatico della principessa, per questo avrebbe deciso di troncare la relazione. Diana non sarebbe riuscita ad accettarlo. Anche perché, secondo il fotografo della royal family, Anwar Hussein, pensava già al matrimonio. Nel 2016 Anwar rivelò che Diana, qualche anno prima di morire, gli avrebbe fatto delle domande sulle unioni interconfessionali. Non avrebbe menzionato Hasnat, ma il fotografo intuì che si stesse riferendo proprio a lui. Pochi mesi prima della fine la principessa avrebbe rivolto quesiti simili anche al prete anglicano Frank Gelli. Ma non ebbe il tempo di attuare ciò che, forse aveva in mente. La Storia non si fa con i “se”, ma viene spontanea una riflessione: se Lady Diana non avesse tentato di indispettire Hasnat, ammesso che sia vera la teoria della gelosia, forse oggi sarebbe ancora qui.

Il mistero dell’anello di fidanzamento

Stando alle dichiarazioni della guardia del corpo Trevor Rees-Jones l’anello di fidanzamento che Dodi avrebbe donato a Diana non sarebbe mai esistito. Versione smentita dal gioielliere Repossi nel 2020: “Sono passati 23 anni, ma non riesco a dimenticare quell’incontro con Diana e Dodi a Saint Tropez, di mattina presto, per l’anello di Dodi al-Fayed…Erano in crociera nel Mediterraneo, attraccarono a Monaco e la principessa arrivò alla vetrina della nostra boutique accanto all’Hotel Hermitage. Senza entrare indicò un anello che l’aveva catturata, della collezione Dis-moi oui. Poi mi chiamarono per fissare un incontro a Saint Tropez dove erano diretti, per definire la scelta e la misura dell’anello”. L’appuntamento sarebbe avvenuto il 22 agosto 1997 e sarebbe durato tra i 15 e i 20 minuti. L’anello era largo per il dito di Diana, così Repossi si impegnò a farlo modificare: “Mi chiesero di poter ritirare l’anello messo a misura dell’anulare della principessa per il 30 agosto, perché l’1 settembre dissero ci sarebbe stato un annuncio importante, un fidanzamento. L’anello andava ristretto e non era un modello facile…Presi l’impegno del riserbo…Anni dopo il bodyguard sopravvissuto allo schianto, Trevor Rees-Jones, rimasto senza memoria, in un suo libro ricordava che Dodi non aveva mai ritirato alcun anello. Impossibile, l’avevo consegnato io stesso. Chiamai il vecchio al-Fayed…La visita del figlio Dodi in boutique era stata registrata dalle telecamere e mettemmo la registrazione in cassaforte…”. Dodi sarebbe andato nel negozio di Place Vêndome a ritirare questo gioiello da 130mila sterline (390 milioni di vecchie lire) la cui presenza o assenza cambierebbe di molto la storia di Diana. Forse la principessa aveva davvero intenzione di fidanzarsi con Dodi, o magari stava spingendo sempre più in là la presunta finzione per far ingelosire Hasnat Khan. Con buona probabilità non lo sapremo mai.

25 anni di ipotesi

Tutte le teorie più o meno assurde sulla morte di Lady Diana sono state analizzate nell’ambito dell’Operazione Paget, un’indagine partita nel 2004 e resa pubblica nel 2006, che portò al chiacchierato interrogatorio del principe Carlo alle 17:15 del 6 dicembre 2005, in un salotto privato al primo piano di St. James’s Palace. Lord Stevens si occupò di un compito così delicato e svolto nella più totale riservatezza, ma si giunse, come era prevedibile, a un nulla di fatto. Dopo 25 anni David Douglas, uno degli ufficiali di polizia che presero parte all’Operazione Paget (e che era presente durante l’interrogatorio al principe di Galles), ha accettato di parlare a Good Morning Britain Friday su Itv, citato dal People: “È mia assoluta convinzione che sia stato un terribile e tragico incidente in cui tre persone hanno perso la vita e un’altra persona ha avuto la vita sconvolta…Quando guardi alla maggior parte degli incidenti, scopri che c’è stata una catena di eventi e se una di quelle catene di eventi fosse stata diversa avrebbe potuto non portare a tutto ciò". A tal proposito Douglas ribadisce una certezza già espressa da molti esperti: "…Per esempio se avessero indossato le cinture di sicurezza i nostri esperti ci dicono che probabilmente c’era l’80% di possibilità che sarebbero sopravvissuti all’incidente”. Nel documentario dell'emittente Discovery Investigation, "Investigating Diana. Death in Paris", ha preso la parola una delle prime persone arrivate al Tunnel dell’Alma poco dopo l’incidente, Martine Monteil, capo della brigata criminale, che ha ricordato: “Abbiamo iniziato a trovare piccoli indizi. Abbiamo visto segni di freni, pezzi di luce rossa di un’altra macchina. Sul lato abbiamo visto tracce di vernice”. Infine ha aggiunto un particolare commovente: “Ho anche trovato delle piccole perle molto fini che appartenevano alla principessa.

È stata una scoperta straziante”.

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