Cultura e Spettacoli

Le vere partigiane? Le donne liberali

Cristina Casana e le altre. La storia dimenticata delle coraggiose «borghesi»

Le vere partigiane? Le donne liberali

L'«effettivo contributo» della «parte moderata» alla lotta di liberazione in Italia, «fu complessivamente modesto» e «politicamente condizionato dalla sinistra», scrive Renzo De Felice nella Introduzione alle memorie di Alfredo Pizzoni, Alla guida del CLNAI. Memorie per i figli (Il Mulino 1995) E tuttavia quella lotta segna una pagina di storia importante, che sarebbe sbagliato sottovalutare. «Ché se nella Resistenza e soprattutto dopo, attorno ad essa, vi è stata dell'acqua sporca, essa resta una pagina che ha avuto una grande influenza sulle vicende e manifestazioni successive della nostra vita nazionale e dalla quale non si può assolutamente prescindere». Il grande storico del fascismo aveva avuto un ruolo decisivo nel far pubblicare i ricordi dell'uomo straordinario un indipendente di sentimenti liberali, già maggiore dei Bersaglieri e alto funzionario del Credito Italiano che fu alla guida del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia dal settembre 1943 al 27 aprile 1945. Si trattava, per De Felice, di far opera di educazione civica, rendendo giustizia a chi tanto aveva fatto per la Resistenza grazie soprattutto ai cospicui aiuti finanziari concessi dagli Alleati che solo di Pizzoni si fidavano e che era stato del tutto dimenticato; ma raccontando anche il contributo alla guerra civile di un'Italia legata al Risorgimento liberale e lontanissima dai progetti di palingenesi sociale coltivati dalle sinistre socialcomunista e cattolica. La vicenda, in effetti, era non poco emblematica e la defenestrazione di Pizzoni -come il silenzio calato su di lui- la dice lunga sulla political culture italiana. «Mentre Pizzoni era ancora al Sud ha ricordato Sergio Romano - Pertini ricordò bruscamente, durante una riunione del Cnl, che Pizzoni non era mai stato, istituzionalmente, presidente e che occorreva presentare agli Alleati, non appena fossero giunti nell'Italia del Nord, un organo politico. Temeva probabilmente che gli inglesi e gli americani, in caso contrario, avrebbero fatto del patriota banchiere il loro principale interlocutore nelle regioni settentrionali I partiti volevano valorizzare la Resistenza e se stessi per evitare che l'occupazione militare anglo-americana diventasse anche una occupazione politica». In realtà, operava nelle sinistre l'idea (fascistissima) della trinceocrazia: i combattenti vittoriosi, avevano il diritto storico e morale di diventare la nuova classe dirigente del paese e, pertanto, era intollerabile che la fine della guerra significasse la pura e semplice restaurazione della democrazia liberale.

Con l'uscita di scena dei resistenti liberali o il loro netto ridimensionamento politico penso non solo ad Alfredo Pizzoni, ma anche a figure come Eddie Sogno e Randolfo Pacciardi non si ebbero, però, la fine alla guerra civile - che sarebbe continuata con altri mezzi e fratture ideologiche quali non si erano mai verificate nel corso della storia unitaria né la pacificazione degli italiani ma la disgregazione progressiva e sempre più accelerata (lo vediamo oggi) di ciò che era ancora rimasto dell'identità italiana dopo l'8 settembre.

Se la società civile liberale non fu in grado di contrastare quanti volevano rivoltare l'Italia come un calzino (e molti lo volevano a fin di bene), tuttavia diede testimonianza di provati stili morali, di un patriottismo non retorico, di una fedeltà antica ai valori e alle istituzioni della libertà. Ne costituisce un luminoso esempio la vita di Cristina Casana (19141992), della quale una valente ricercatrice, Rossella Pace, ha pubblicato le memorie nel volume, Una vita tranquilla. La Resistenza liberale nelle memorie di Cristina Casana (Rubbettino) con Prefazione di Giovanna Motta. Appartenente a una nobile famiglia lombarda imparentata con i Taverna di Landriano e coi Ludovisi Boncompagni, Cristina assieme al fratello Rinaldo, fece della villa brianzola di Novedrate la base della Organizzazione Franchi (Edgardo Sogno), nonché la sede di una radio clandestina gestita da Ernesto Balbo di Vinadio dalla quale venivano trasmessi i messaggi cifrati inviati da Radio Londra ai partigiani. Molte operazioni di sabotaggio della Resistenza partirono da qui. La nobildonna, che non partecipò alla lotta armata, ma fu uno dei riferimenti più importanti delle formazioni partigiane moderate e monarchiche, fornisce l'occasione a Rossella Pace per una riflessione storica che non riguarda solo l'apporto liberale alla lotta antifascista ma altresì l'emergere di una coscienza femminista all'interno di ambienti ritenuti a torto misogini. «Quello della partecipazione delle donne liberali alla Resistenza, scrive, è un capitolo rimasto in ombra, soprattutto a causa del consolidato pregiudizio secondo il quale nel mondo liberale le donne sarebbero state tenute sempre in disparte dai grandi affari e dal potere, e per via di quella sorta di pudore nel parlare di quegli avvenimenti che si consolidò, all'indomani del 25 aprile, tra le principali protagoniste di questa storia».

Non vorrei essere più femminista di Rossella Pace, ma ho l'impressione che quel pudore tipico un po' di tutti gli ambienti liberali: solo all'Università, venni a sapere, a Cuneo, che alla Resistenza avevano contribuito anche non pochi liberali! attesti una sensibilità civica che nient'affatto rara nelle donne colte della borghesia agiata e dell'aristocrazia settentrionale: l'allergia al reducismo propria di chi ha compiuto il suo dovere di cittadino, ha contribuito a rifondare gli istituti democratici ma non ha nessuna voglia di appuntarsi patacche e di ricordare, a ogni piè sospinto, i propri meriti.

D'altra parte quei meriti sono un fatto incontestabile e rievocarli per le nuove generazioni, senza retorica e squilli di trombe, è un compito che qualche studioso si è assunto con sincera convinzione. Che in questo caso, si tratti di una collaboratrice del compianto Fabio Grassi Orsini non stupisce giacché Grassi Orsini apparteneva all'esigua pattuglia v.

pure il Centro Pannunzio di Torino impegnata a far conoscere un'altra Italia, fatta non di tribuni politici, di leader sindacali, di intellettuali impegnati, ma di schivi borghesi che, nei momenti drammatici della vita del Paese, si schierano dalla parte della libertà e della dignità, pronti a rientrare nell'ombra quando passata è la tempesta.

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