Cultura e Spettacoli

Il vizio intellettuale francese di piangere sulla "giusta causa"

«Il solco» di Valérie Manteau usa il dramma dell'armeno Hrant Dink come un esercizio di «impegno a tempo»

Il vizio intellettuale francese di piangere sulla "giusta causa"

Il solco, di Valérie Manteau (L'Orma, pagg. 218, euro 16, traduzione di Sabina Terziani) prende il suo titolo dall'omonimo settimanale che Hrant Dink, giornalista e intellettuale armeno, fondò e diresse fino al suo assassinio, nel 2007, a opera di un diciassettenne nazionalista turco. Fu un delitto che fece clamore, perché avvenne per strada, in pieno giorno, davanti alla sede del suo giornale, a Osmenbey, nel quartiere sulla sponda europea di Istanbul, e perché fu una sorta di «delitto annunciato», una sentenza già pronunciata e solo da eseguire, contro «l'armeno insolente», «il nemico dei turchi», più volte finito in carcere e processato, colpevole di voler difendere la memoria tradita del suo popolo, vittima di un genocidio sempre e comunque negato, e con essa il suo diritto, per quanto minoranza, a essere parte a pieno titolo della storia della Turchia.

Vincitore lo scorso anno del Renaudot, uno dei premi letterari più importanti di Francia, Il solco è un bel romanzo artificiale, di un genere che si potrebbe definire «letteratura del dolore» o dell'«impegno a tempo». In sintesi, si prende un tema di attualità politico-ideologica, di quelli che vanno per la maggiore e trovano consenzienti qualsiasi persona abbia a cuore la libertà di pensiero e i diritti civili, gli si costruisce intorno un clima di immedesimazione, facendo della voce narrante straniera, francese nel caso in questione, un tutt'uno con i temi e i problemi raccontati, si mischia il reportage al mélo sentimentale, il privato al pubblico e si serve il tutto al lettore, ben ghiacciato o ben riscaldato, fate voi.

Nella fattispecie, Il solco affonda le sue radici, è proprio il caso di dire, nel giro di vite impresso da Erdogan alla Turchia soprattutto nell'ultimo quinquennio: chiusura di giornali, arresto di giornalisti, censura, repressione politica, carceri sovraffollate, processi-farsa, islamizzazione sempre più autoritaria, con di mezzo un fallito colpo di Stato da molti considerato pilotato e che ha comunque avuto come risultato un rafforzamento dello stesso Erdogan. La protagonista del Solco, che è poi l'autrice in prima persona, non si perde una manifestazione né una petizione, un giornale satirico o un caffè occupato, un processo, un luogo alternativo e persino un letto, omo o etero, nel nome della trasgressione. Con bravura, perché sa il suo mestiere, immerge il lettore nella movida febbrile in cui soprattutto la gioventù turca si trova da quando la protesta di Gezi Park del 2013 acuì lo scontro fra una «disobbedienza» libertaria, europea, alternativa, e un'ortodossia fondamentalista, patriottica, islamica, uno scontro riassumibile in una metafora dello stesso Hrant Dink, la cosiddetta «inquietudine della colomba», il cui istinto è quello di volare, pur se si rende conto che a ogni istante può essere ingabbiata, oppure impallinata.

Il difetto di immedesimazioni del genere è che alla fine del romanzo-verità l'eroina della vicenda, la cui conoscenza della lingua turca è di fatto risibile, prende l'aereo e se ne torna da dove è venuta, Marsiglia. Ha scritto un libro-denuncia, probabilmente domani ne scriverà un altro sullo stesso tema con ambientazione diversa. Fine della storia.

Valérie Manteau è una trentenne, gira per Istanbul in infradito, è stata collaboratrice di Charlie Hebdo: appartiene insomma a quella Francia giovane e cosmopolita che guarda con fastidio o con distrazione ai problemi di casa propria perché è troppo presa dall'internazionalismo delle grandi cause per potervi prestare attenzione. È una trentenne con l'ignoranza esibita dell'età. Prima della sua immersione nel maelstrom effervescente e pericoloso di Istanbul, ignorava chi fosse Hrant Dink: «l'idea di un opera dedicata» a lui - dice - «la incuriosisce». La fondazione che ne porta il nome sta in via Papa Roncalli: «Papa Roncalli me lo immagino come un muscoloso pizzaiolo di quartiere e mi chiedo cosa abbia mai potuto fare di così straordinario da guadagnarsi una strada a suo nome, che invece avrebbe potuto chiamarsi via Hrant Dink. Papa Roncalli nel senso del papa, cretina. L'ambasciata del Vaticano si trova nella stessa strada». Ti cascano le braccia: Roncalli fu delegato apostolico in Turchia negli anni Trenta e Quaranta e prima nunzio apostolico in Bulgaria, e sempre vicino alla questione armena...

Si dirà: tutti ci appassioniamo per una causa, ne scriviamo, magari le dedichiamo un libro, perché prendersela con chi, come Valérie Manteau, in fondo non ha fatto altro che questo? Perché crocifiggerla sul fatto che dopo, altrettanto legittimamente, potrà appassionarsi e scrivere di qualcosa d'altro? L'obiezione è sensata, ma non per questo attenua il senso di malumore che il libro provoca. Probabilmente quest'ultimo nasce dalla commistione di generi, probabilmente la colpa è in chi, come scrive la bandella di copertina, torna in Turchia «per sottrarsi all'angoscia del mondo e ritrovare un amore sfuggente»... Lo avesse trovato a Marsiglia, di Hrant Dink avrebbe continuato a non importarle niente... Fa insomma un po' specie e un po' ribrezzo che ci si possa caricare sulle spalle un morto esemplare e piangergli addosso, piangendosi addosso, semplicemente per vizio intellettuale: cercava una storia, l'ha trovata, ma sono lacrime di coccodrillo, un po' come quelli che dicono di voler mettere «il loro corpo» sulle barche dei migranti, un fenomeno di moda, un capo di stagione da indossare prima che la stagione passi, la moda tramonti e ci si trovi a dover fare il cambio degli armadi.

Torniamo alla Francia, perché la Manteau è puro succo di una certa maggioritaria intellettualità francese, quella che abbraccia i sans papiers, ma si ritrae inorridita se un sans travail con il gilet giallo scende in piazza, l'ennesimo «senza denti» che non sa stare al suo posto e su cui già ironizzava un presidente socialista come Hollande.

Non è un caso che fra i libri più venduti oltralpe ci sia oggi La haine des clercs, «L'odio degli intellettuali», di Sarah Al-Matary, un bel passo indietro rispetto a quella Francia in cui un presidente della Repubblica di nome de Gaulle rispondeva così a chi gli suggeriva di mettere in carcere il Jean-Paul Sartre contrario all'Algeria francese: «On n'embastille pas Voltaire!». Non è soltanto il fatto che di Voltaire o di Sartre non se ne vedano più all'orizzonte, è che si assiste, come dice l'autrice, a un rifiuto verso chi «è visto come sganciato dalla realtà, impegnato nell'astrazione pura e però in posizione di potere». Sotto questo profilo, nota ancora Sarah Al-Matary, c'è un anti-intellettualismo dei gilet gialli che nasce dal loro sentirsi «feriti dal fatto che gli intellettuali in quanto potere li prendano per imbecilli» proprio perché ne rifiutano la mediazione, non si fanno dettare da loro le regole del gioco.

La cosa curiosa è che l'anti-intellettualismo non è un fenomeno esterno agli intellettuali, ma (l'esempio più evidente è quello di Michel Houellebecq) alberga anche al loro interno, ed è proprio il rifiuto a considerarli una specie di ordine sacrale, sciolto da qualsiasi legame con la società. E non è nemmeno un caso che nella Francia contemporanea, dove un presidente quarantenne incarna proprio quel certo spirito intellettuale da «unto del Signore» costretto a doversi sporcare con le «miserie» del suo popolo, invece di essere lasciato libero di operare per il suo miglioramento dall'alto, per scienza infusa, insomma, ci sia un proliferare di pamphlet anti-presidenziali. Si dirà che non è una cosa nuova, perché nella Quinta repubblica, da de Gaulle a Hollande, passando per Pompidou, Giscard d'Estaing, Mitterrand, Chirac e Sarkozy, i libelli contro i vari inquilini dell'Eliseo non sono mai mancati. Qui però, nel giro di nemmeno due anni si è passati dal definire il neopresidente «un personaggio da romanzo», come nell'agiografia scritta allora da Philippe Besson, a titoli come Crepuscolo, Quel Paese che non conosci, Storia della tua stupidità, Il presidente degli ultra-ricchi, fino al campione d'incassi Jojo, le gilet jaune... È quello che è stato definito l'effetto boomerang per chi si era presentato come nuovo, libero, né di destra né di sinistra, per chi diceva di sé: «Mi sono fatto interamente da solo». E infatti: «Chi ti ha fatto re?» gli viene chiesto. Ciò di cui è accusato è di avvilire il popolo, insultarlo e, in più, confiscare il potere decisionale non si sa bene a beneficio di chi.

Ripartiamo dall'inizio, la Francia cosmopolita degli astratti diritti dell'uomo, del pontificare sulla pelle altrui, dell'esotismo a buon mercato e sempre in cerca di una causa «giusta», da Komeini alla Libia, da abbracciare e poi da dimenticare, irresponsabile e narcisa, incapace di mettersi mai in discussione. Perché sorprendersi se poi, nel cuore della sua capitale, l'altra Francia dimenticata mette tutto a ferro e a fuoco? I barbari, si sa, arrivano sempre con la decadenza delle élites.

Sarà un caso, o un segno dei tempi, l'esposizione oggi più vista in Francia è quella che il museo Louvre-Lens dedica a Omero: in tempi bui e mediocri c'è bisogno di miti e di eroi.

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