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La voce con l'anima nera che ha reso sexy il blues

La star inglese aveva 70 anni. È morto nel suo ranch in Colorado Con la sua esibizione orgiastica rimane un simbolo di Woodstock

La voce con l'anima nera che ha reso sexy il blues

Era un grande. La sua voce rauca e aggressiva, a tratti brutale, un urlo dell'anima, ha segnato le strade del rock per quarant'anni. Era una voce da «nero» anche se Joe Cocker veniva dall'inglesissima Sheffield. È entrata nella storia la sua immagine, coi capelli lunghi e la maglietta psichedelica, mentre si agita sul palco di Woodstock, suonando un'immaginaria chitarra e agitandosi come un epilettico (probabilmente imbottito come suo solito di alcol e droga) interpretare una inimitabile versione della beatlesiana With a Little Help From My Frie nds. Era giovanissimo e semisconosciuto, faceva l'idraulico, e dopo una lunga gavetta nei più infimi locali di Sheffield divenne subito una leggenda. La sua performance - che comprendeva anche brani come Delta Lady - fu una sensuale esplosione di rock condito con violente scrollate di blues e di soul. Lui era così, e quella di Woodstock è l'immagine di Cocker che i duri e puri del rock hanno nel cuore, anche se poi il successo è tornato, impetuoso, sull'onda delle sofisticate immagini di 9 settimane e mezzo, del 1985, dove cantava l'aggressiva You Can't Leave Your Hat On sulle immagini del voluttuoso strip tease di Kim Basinger.

Sì, Joe Cocker era così, tutto voce ed esuberanza, (rimane impareggiabile l'imitazione che faceva di lui John Belushi) e così se n'è andato a settant'anni, sconfitto nella sua voglia di vivere da un tumore ai polmoni che lo attanagliava da tempo. Se n'è andato in silenzio nel suo ranch di Crawford, Colorado, dove viveva con la famiglia e dove allevava cavalli. Una vita (relativamente) tranquilla per un artista che non voleva mollare la musica. L'annuncio lo ha dato ieri sera il suo agente Barrie Marshall con un laconico comunicato che dice: «Era semplicemente unico e sarà impossibile riempire il vuoto che lascia nei nostri cuori».

La sua versione di With a Little Help From My Friends (che all'epoca creò un sacco di polemiche per i suoi presunti riferimenti all'Lsd e fu incisa con Jimmy Page dei Led Zeppelin alla chitarra) oscurò l'originale dei Beatles e finì persino al numero uno nelle classifiche inglesi. Inglese fino al midollo, Cocker divenne però presto un'icona americana sfondando, già nel 1970, nella hit parade statunitense con brani come Cry Me a River e Feelin' Alright . I suoi fan d'antan ricorderanno le sue donchisciottesche avventure sotto il marchio di Mad Dogs & The Englishmen insieme al carismatico autore (scrisse tra le altre proprio Delta Lady) e polistrumentista Leon Russell e a un gruppo di personaggi fuori dalle righe. Di quell'infuocato 1970 rimane lo storico album Mad Dogs & The Englishmen e anche l'interessante documentario omonimo.

Cocker aveva davanti a sé una carriera inarrestabile ma, come accadde a tante star dell'epoca, aveva il vizio di vivere pericolosamente tra droghe, sbronze colossali e arresti. La salute malferma (anche negli ultimi anni quando parlava tremava sensibilmente) ne frenò la carriera e già nel 1972, dopo un tour mondiale, sarà costretto a fermarsi per qualche anno. Incide dischi come Luxury You Can Afford e Sheffield Steel , dignitosi ma non graffianti come all'epoca d'oro, e torna alla grande grazie al cinema. Prima con la colonna sonora di Ufficiale e gentiluomo, dove in duo con Jennifer Warnes conquista un Grammy e i primi posti delle classifiche con Up Where We Belong, poi si riprende lo scettro da solista con la già citata You Can Leave Your Hat On, che rilancia l'anima soul-blues dei tempi antichi. Da allora Cocker diventa anche una stella universale, amata anche da chi non ne ha condiviso il passato. Recita persino nel film Across the Universe e tra i suoi molti duetti ce n'è uno con Eros Ramazzotti.

Ma lui non ha mai abiurato il blues orgiastico dei tempi d'oro, anche se negli ultimi anni era tranquillo, coi suoi cavalli e la Cocker Kind Foundation per aiutare i bambini poveri, il suo motto rimaneva: «Se cominciassi a predicare ciò che si deve o non si deve fare, sparatemi».

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