Cultura e Spettacoli

"Woman in Gold", storia vera di un capolavoro trafugato

La battaglia legale nata attorno ad un dipinto che racchiude ricordi incancellabili, una volta sul grande schermo appassiona solo per l'interpretazione di Helen Mirren

"Woman in Gold", storia vera di un capolavoro trafugato

Il tema dei beni artistici sottratti dal Reich, affrontato in tempi recenti al cinema da George Clooney con "Monuments Men", si riaffaccia sul grande schermo in una storia dal taglio biografico nella pellicola "Woman in Gold". La vicenda è quella vera di Maria Altmann (Helen Mirren), ebrea fuggita da Vienna poco dopo l’arrivo dei tedeschi durante la seconda guerra mondiale e rifugiatasi da allora in America. La sua ricca famiglia, all'epoca, si vide sequestrare dalle SS molti beni, tra cui il ritratto della zia Adele Bloch-Bauer, dipinto da Gustav Klimt, poi finito in periodi successivi al museo del Belvedere. Quando, alla fine degli anni Novanta, lo stato austriaco inaugura una politica di restituzione delle opere rubate dai nazisti, Maria decide di riprendere quello che è suo. Il fatto che il quadro di cui rivendica la proprietà sia il più famoso d'Austria, però, complica le cose. Rivoltasi a un giovane avvocato, Randy Schoenberg (Ryan Reynolds), nipote del compositore Arnold, Maria inizia una battaglia legale che la vedrà, di fatto, trascinare il proprio Paese natale fino alla Corte Suprema Americana. Quello del desiderio di ottenere giustizia, anche se in tarda età, professato da un'amabile e anziana signora assistita nella lotta per i propri diritti da un giovane uomo, è lo stesso spunto narrativo alla base di "Philomena", il film di Stephen Frears del 2013 con Steve Coogan e Judi Dench.

La pellicola incassò 100 milioni di dollari e portò a casa 4 nomination all'Oscar, era piuttosto ovvio, quindi, che i produttori avrebbero tentato di ripeterne la formula vincente. E' probabile che il bis al botteghino riesca ma, per il resto, "Woman in gold", pur assemblando gli stessi ingredienti, non ha la stesso sapore magico e aggraziato di "Philomena": scivola via laddove l'altro titolo si rendeva indimenticabile. Nel film diretto da Simon Curtis, in uscita il 15 Ottobre, a funzionare sono i flashback riguardanti i giorni in cui la protagonista, a causa della guerra, perde innocenza e agiatezza. E' a quelle scene che viene affidato il compito di tramandare alle nuove generazioni di spettatori la memoria storica di tanto doloroso passato. Ryan Reynolds e Katie Holmes nei ruoli dell'inesperto ma coraggioso avvocato e della sua consorte, lasciano a desiderare: lui è monoespressivo ma credibile, lei, appena intravista in un paio di scene, più scialba del solito. E' forse da imputare allo scarso appeal di tali comprimari, se la parte del girato inerente l'odissea legale, nonostante qualche colpo si scena, rimane piuttosto sterile. Per fortuna a mangiarsi lo schermo senza mai abdicare al proprio charme regale, c'è Helen Mirren: perfetta negli abiti eleganti di Maria Altmann, della quale dà un'immagine di donna dotata di grande compostezza ma capace di sfoderare determinazione, umorismo arguto e intelligenza non comuni. Per l'anziana protagonista riappropriarsi del quadro di famiglia detenuto indebitamente dallo stato austriaco è l'occasione di fare pace con questioni sepolte dentro di sé da troppo tempo. Tornare a Vienna la costringe a vedere riaffiorare nella mente immagini dalla potenza emotiva dirompente, come l'abbandono dei propri genitori a un destino certo di morte. Helen Mirren brilla ma, purtroppo, "Woman in Gold" resta opaco: attorno al talento della carismatica attrice sfilano eventi riproposti con piatta aderenza. Da un lato è apprezzabile che, nel corso del film, ci sia poca retorica sull'arte e sul suo significato, così come sull'idea di giustizia e che lo spettatore sia portato a commuoversi senza la messa in scena di facili ricatti emotivi.

Dall'altro, si esce dalla sala con la sensazione che il potenziale comunicativo della vicenda narrata non sia stato raggiunto.

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