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Un addio a puntate che per i Lakers fuori dai play off vale più del titolo

L'altra notte con Utah Jazz l'ultima partita a 20 anni dal debutto. Vittoria e 60 punti: sua quinta prestazione di sempre e record per gli over 35

Un addio a puntate che per i Lakers fuori dai play off vale più del titolo

L'emozione abbinata al business, il ricordo imperituro nelle cui pieghe emergono le solite pozzanghere di opportunismo abbinato al sentimento, e un copione finale scritto in maniera così inverosimile da apparire vero, a Los Angeles e dintorni, dove la finzione e la realtà si rincorrono abbracciandosi in modo tale da essere indistinguibili.

L'addio di Kobe Bryant alla pallacanestro, ovvero alla Nba, si è celebrato nella notte italiana tra mercoledì e giovedì allo Staples Center, nella partita contro gli Utah Jazz vinta dai Los Angeles Lakers per 101-96. Kobe, al passo finale a 20 anni tondi dal debutto, e a 37 di età, ha segnato 60 punti, sua quinta prestazione di sempre e migliore per un giocatore over 35. Degli 85 tiri complessivi della sua squadra, 50 li ha effettuati lui, segnandone 22 in 42' di gioco, prima dell'uscita per la scontata ovazione a 4" dal termine: un accentramento di conclusioni non inusuale al Kobe degli anni migliori, che però nel periodo di gestione di coach Phil Jackson aveva, tra una moina e una strizzata d'occhi, accettato anche le teorie del cosiddetto attacco triangolo, anatema teorico per ogni solista. Kobe è stato tale in modo formidabile - come tutte le superstar Nba - riuscendo però a vincere 5 titoli Nba, a diventare contemporaneamente la torta, la ciliegina e il goloso di dolci, e creare, dopo due stagioni di declino fisico, una addio memorabile e un'attesa che è salita progressivamente fino all'apice dell'altra sera. Il Kobe pubblico, convincente anche agli occhi di chi lo ha visto spesso prendere atteggiamenti diplomatici, a novembre nel comunicare l'addio a fine stagione aveva chiesto di non avere cerimonie speciali in occasione delle partite in trasferta e aveva dissuaso i club avversari dal fargli regali, ma ben presto si era capito che in assenza di speranze di andare ai playoff i Lakers potevano trasformare l'addio sgocciolato di Bryant nella loro campagna promozionale e agonistica più grande. Con il paradosso che un Kobe consapevole dell'eco delle proprie visite a ogni arena ma non desideroso di attirare attenzioni passava invece al centro della scena. Per assurdo, pur con personaggi - come dire? - vivaci nel roster, i Lakers del 2015-16 si sono riconosciuti in un Kobe Bryant ormai in declino come non avevano fatto neanche negli anni dei cinque titoli vinti, quando in squadra c'era gente che poteva recitare parti teoricamente in sintonia con la grandezza del capitano. La creazione del pathos verso l'ultima di mercoledì sera è stata perfetta, e lo si nota non tanto dagli spettatori normali che sono andati allo Staples Center ma dalla sfilza di colleghi, attori e vip in generale che ha voluto rendere omaggio a Kobe prima e durante la partita, via social media o da bordo campo, con spesa di migliaia di dollari. Compreso Shaquille O'Neal, con cui Bryant vinse tre titoli a inizio secolo, senza però mai affezionarsi ai modi troppo rilassati del centro, a suo avviso privo della fame di miglioramento, dominio e crescita che ha invece sempre consumato la vita di Bryant.

L'onda emotiva per l'addio è arrivata ovunque: in Cina, nazione che ha una crescente affinità con la pallacanestro, i social media sono andati fuorigiri, anche perché la partita è andata in onda al mattino, in un momento di grande traffico, e l'affetto del pubblico - ricambiato da frequenti visite, magari non disinteressate - per quello che viene chiamato Xiao Fei Xia, Piccolo Guerriero Volante, è arrivato fino a celebrità locali come l'attrice Li Bingbing (nome vero, pare), che ai suoi quasi 38 milioni di seguaci su un social media diffusissimo, Weibo, ha scritto, guardando Lakers-Jazz, «Kobe sta sfidando i propri limiti fino all'ultimo. È un mito pazzesco. Il Black Mamba non ha rimpianti né tristezza». Black Mamba, auto-soprannome, in onore del serpente letale: e con «Mamba Out», meravigliosamente studiato e ad effetto, Kobe ha chiuso il saluto al pubblico, dopo la partita.

Uscendo di scena, e contemporaneamente restandoci.

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