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ADL, l'industriale del calcio senza diplomazia

De Laurentiis dice sempre e comunque tutto in pubblico: a costo anche di perdere i calciatori

ADL, l'industriale del calcio  senza diplomazia

A urelio De Laurentis, presidente del Napoli quasi a tempo pieno, è uno di quei personaggi che, se non ci fossero, bisognerebbe inventarli. È partito da molto lontano, raccogliendo il Napoli dalle ceneri del fallimento, per farne dopo qualche anno d'inevitabile apprendistato, il rivale più accreditato della Juve cannibale. La sua è una società sana, i conti in ordine, spende per quel che incassa e grazie a qualche golosa plus-valenza, ha anche accumulato del fieno in cascina. Ha una spina in gola: non riscuote la stima e la riconoscenza della sua tifoseria che lo accusa di non aver ancora vinto un trofeo e di applicare al botteghino prezzi fuori mercato. Il vero punto debole del suo Napoli è lo stadio, mal ridotto, rimesso a fresco grazie alle universiadi e nonostante ciò inadeguato ad accogliere la Champions o partite della Nazionale. Servirebbe, da quelle parti, in mancanza d'investitori stranieri come sta accadendo a Milano, un consorzio d'imprenditori decisi a realizzare un progetto di stadio moderno e alternativo.

Nelle recentissime interviste ADL si riconferma personaggio pittoresco. Capace, ad esempio, di parlare crudo a Mertens e Callejon i quali nicchiano sul rinnovo contrattuale («pensano di fare marchette in Cina»), di smentire dissapori con Ancelotti che nella scorsa stagione gli ha fatto da parafulmine sul mercato (e meno male) e di sparare a zero sulla concorrenza accusando direttamente «Juve e Inter di fare debiti» e il Milan «che è sull'orlo del baratro». A dire il vero il Milan è stato salvato dal baratro da Elliott, un gigante da 35 miliardi di dollari, fortunatamente per i tifosi rossoneri ma questo è appena un dettaglio.

Piuttosto la sua sincerità è a volte disarmante. E Quando De Laurentis confessa d'aver respinto un'offerta da 100 per Koulibaly aggiungendo subito dopo «prima o poi lo vendo» si tratta di una dichiarazione che declina perfettamente con l'auto-definizione, «sono un industriale del calcio non un presidente nominale come al Real Madrid o al Barcellona». Specie sui piani futuri del suo club non vende promesse come accade altrove: se dichiara che prima o poi venderà Koulibaly bisogna prenderlo in parola. Perciò alla fine di questo giro intorno al Napoli, la morale è una: a volte le buone ragioni possono essere tradite da qualche espressione fuori posto che allontanano persone e calciatori da Napoli invece che avvicinarli.

E non è soltanto una questione di bon ton.

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