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Allegri e Zidane gli imprevisti di una leggenda lunga 55 anni

Dalle testate di Sivori ai diktat di Di Stefano all'arbitro E ora entrano nel mito due tecnici a cui nessuno credeva

Allegri e Zidane gli imprevisti di una leggenda lunga 55 anni

È la sera. È la partita. L'ultima. La più importante. Decide una stagione. Fa cronaca ma entra nella storia. Della Juventus, certamente. Del Real Madrid, un'altra volta, ancora. Novanta minuti, o qualcosa di più, riassumono pensieri, progetti e sogni di dieci mesi, possono essere il timbro dopo il titolo nazionale conquistato da Massimiliano Allegri e da Zinedine Zidane. Uomini diversi per carattere e storia professionale. Pochi avrebbero immaginato di vedere il livornese per tre volte consecutivamente campione d'Italia e per due, in tre anni, finalista di Champions. Pochissimi avrebbero immaginato che il marsigliese avrebbe ribadito, in panchina, la marcia trionfale della sua carriera di calciatore. Allegri, perché aveva ereditato il lavoro dal tellurico Antonio Conte ma era anche reduce dalla stagione critica al Milan. Zidane, per il carattere introverso, la tendenza a isolarsi, nelle sconfitte come nelle vittorie, un leader di censo ma non di personalità coinvolgente. Smentiti tutti, dal campo, dai risultati, dal comportamento di Juventus e Real Madrid, da un presente che non è fermo ma dinamico. Cardiff è un fotogramma di una lunga narrazione.

E' l'ultima scena di un film che, nel circuito dei cinema europei, resiste da cinquantacinque anni, premiando gli spagnoli ma lasciandoli anche fuori gioco. Era il febbraio del Sessantadue quando Juventus e Real si affrontarono per la coppa dei Campioni. Nell'andata a Torino accadde di tutto, l'aereo dei madridisti fu dirottato a Nizza per nebbia su Torino, il viaggio in torpedone verso l'Italia non fu agevole, l'hotel del ritiro venne assediato dagli antifranchisti che chiesero di incontrare Di Stefano per denunciare il regime antidemocratico, la partita fu giocata in orario pomeridiano al Comunale, sfida aspra, gol di Di Stefano e rissa tra lo spagnolo Pachin e Sivori. Il cantabrico provocò l'argentino dicendogli che gli mancava la piuma per sembrare un indiano. Enrique Omar rincorse il terzino, lo colpì con una cabezata, Pachin finì orizzontale, venne ricoverato per una commozione cerebrale e non giocò la partita di ritorno al Bernabeu. In Spagna vinse la Juventus con gol di Sivori ma fu un'altra storia bizzarra. L'arbitro francese Guigue venne costretto da Alfredo Di Stefano, nell'intervallo, a cambiare la giacchetta nera che si confondeva con la divisa completamente nera della Juventus. Guigue obbedì con disagio e imbarazzo e vestì la maglia viola di riserva del Real. A Di Stefano non bastò, cambio anche dei pantaloncini, bianchi e non neri. Guigue, visibilmente scosso, lasciò il calcio dopo quella partita. Il regolamento non prevedeva i supplementari e i rigori. Si giocò la bella a Parigi e il Real passeggiò con Felo, Tejada, Del Sol mentre ancora Sivori si presentò al gol.

Santiago Bernabeu era il leggendario presidente di quel Real che gli ha dedicato lo stadio Chamartin. Alla guida della Juventus c'era invece una giovanissima figura: Umberto Agnelli aveva ventisette anni ma avrebbe lasciato la presidenza del club al termine della stagione.

Suo figlio, Andrea, riprende quella storia, stasera, a Cardiff.

Il film, bellissimo, continua.

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