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Bradley non gioca più Storia di una mascotte e del suo bomber-peluche

Il bimbo era malato ed era diventato il simbolo del Sunderland. E il miglior amico di Defoe

Bradley non gioca più Storia di una mascotte e del suo bomber-peluche

Bradley Lowery aveva sei anni. Lo ha ucciso un neuroblastoma. Non so che cosa sia. No, anzi lo so benissimo ma vorrei non averlo saputo e scoperto mai. Non lo ha saputo nemmeno Bradley che ieri ha chiuso i suoi occhi vispi e stretto le manine che tenevano il pallone.

Bradley amava il football, era tifoso del Sunderland, era diventato la mascotte della squadra biancorossa, correva in campo, prima della partita, il pallone era più grande di lui, era festa, mentre attorno, chi lo osserva, accarezzandolo, baciandolo sapeva, continuando a dribblare la verità cattiva. Jermain Defoe, attaccante con la pelle nerissima, aveva adottato quel pupo senza un solo capello nella sua testolina. Erano i segni delle cure contro il maligno.

Le fotografie che ritraggono Bradley e Jermain sono il manifesto di un'epoca altrimenti volgare e sguaiata. Il campione tiene in braccio il bambino, dormono assieme, quasi un quadro, l'icona di un tempo non pensato, per questo bellissimo. In un'altra c'è Bradley vestito con la casacca del Sunderland, firmata da tutti calciatori, lui calza un paio di guanti, in lana spessa, colorati di biancorosso anche quelli, tiene i pollici sollevati, in segno di ok, è la sua vittoria, il suo pezzo di cielo in terra, la felicità di un innocente che non conosce quale sia il motivo per cui qualcosa, qualcuno se lo stia portando via da noi. Jermain Defoe, in un'altra istantanea, lo tiene in braccio, sono a bordo campo, prima del fischio d'inizio di una partita, sorridono entrambi, senza pensare al buio, alla luce che andrà a spegnersi. Si è spenta ieri. Bradley ha concluso la sua esistenza. Jermain Defoe, intanto, è passato dal Sunderland al Bournemouth. Ieri, durante la conferenza stampa, un cronista gli ha chiesto come abbia avuto la forza di concentrarsi, di continuare a correre, dopo aver conosciuto e vissuto assieme quella storia così drammatica e poi tragica. Defoe si è arreso alla commozione, il volto si è rigato di lacrime, Bradley non era suo figlio. Jermain ha perso, nove anni fa, il fratellastro Esco, vittima di una aggressione in strada. Bradley era diventata la speranza, era diventato come un figlio, così per tutti i tifosi, del Sunderland e delle altre squadre inglesi. Perché il football in Inghilterra è un rito vero, offre l'orrore degli hooligans e pagine dolcissime, di esistenze fragili che nel calcio trovano un scoglio cui aggrapparsi.

Che cosa sono i nostri schizzi sulle tresche estive di Allegri, sul mancato esame della mancata maturità di Donnarumma, su Diego Armando Maradona cittadino onorario di Napoli?

Stracci, ritagli di nulla, coriandoli sporchi lanciati nel vento della solita estate fasulla.

Il viso di Bradley Lowery dovrebbe diventare il manifesto del football, un bambino d'Inghilterra che ha giocato fino alla fine, ha vissuto sei anni senza sapere che sarebbero stati i primi e gli ultimi. Ha parlato con il proprio balocco, Jermain Defoe è stato il suo peluche, il suo compagno di viaggio. Oggi la storia è finita.

Il pallone sta in una stanza vuota, piena di memorie.

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