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Buffon e la Champions, non c'è storia

La maledizione continua: dalla papera al rigore finale. E l'Equipe gli dà 2

Buffon e la Champions, non c'è storia

Inutile insistere. Tra Buffon e la Champions non c'è storia, c'è soltanto cronaca, amara e perfida. Undici metri segnano la fine di qualunque speranza e progetto, un rigore all'ultimo tiro mette a coricare il portiere che fu campione del mondo, il Santiago Bernabeu o lo Stade de France, Madrid o Parigi, non fa differenza, l'epilogo è uguale, fuori dalla coppa più importante, fuori dall'Europa, i sogni non muoiono all'alba ma in notturna per colpa di quel ragazzo che potrebbe essere suo figlio, Marcus Rashford, ventuno anni appena e già la spavalderia, la personalità e l'orgoglio di calciare il rigore più importante e pesante avendo di fronte il monumento illustre.

Due, in numero «2», è il voto che l'Equipe ha assegnato a Buffon, come uno schiaffo, un colpo di frusta, il segno feroce sul corpo per quel pallone che gli è sfuggito dalle mani, come una saponetta che scivoli nel lavandino, finendo sui piedi di Lukaku, abile ad approfittarne e a metterla in rete. Due, scritto in grande come la torre Eiffel, grande come l'errore, un'umiliazione, la lama della ghigliottina che taglia qualunque alibi, giustificazione, scusa infantile. Quando un portiere sbaglia, è gol, non altro. Di colpo qualunque altro gesto diventa marginale, qualunque medaglia, trofeo, riconoscimento, appartiene al museo ma non alla cronaca contemporanea.

Buffon si era trasferito a Parigi sognando di completare la propria carriera con il club dei signori del Qatar, recitando la parte del padre di famiglia nel gruppetto dei viziati, Mbappé e Neymar fra questi, oltre a Verratti, eterna promessa e premessa azzurra. Parigi val bene un contratto, quello che Torino e la Juventus più non potevano garantirgli. Ma i soldi non sono tutto nella vita, almeno così si dice, dunque Gigi Buffon si ritrova nella polvere, di stelle ovviamente, giudicato come un rital, così i francesi usavano chiamarci, ai tempi delle prime immigrazioni, italiani casinisti e viziati. A Buffon non resta che il campionato, un luna park dove il Paris Saint Germain vince facile, sempre.

Douce France, soltanto nella canzone di Charles Trenet.

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