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Calcio, boxe e ora la Dakar. L'Arabia si apre ma lo fa solo... per sport

Patria dei diritti negati. Però in sei mesi ospiterà 9 grandi eventi. Domenica la nostra Supercoppa

Calcio, boxe e ora la Dakar. L'Arabia si apre ma lo fa solo... per sport

I tentacoli dell'Arabia Saudita si allungano sullo sport mondiale. Grandi eventi, campioni di primissimo livello, montepremi dorati. Juve-Lazio in programma domenica a Riad è solo la punta dell'iceberg, la Supercoppa italiana che in meno di dodici mesi finisce per due volte nel Regno d'Arabia è frutto di un ricco contratto sottoscritto dalla Lega Serie A, con tre finali in cinque anni al prezzo di 21 milioni di euro. Ma c'è di più, molto di più, in barba a chi insorge per i più comuni diritti negati alle donne, per il bavaglio alla libertà d'espressione, per la repressione verso le minoranze. I casi più discussi, a partire dal cruento omicidio del giornalista Jamal Khashoggi in Turchia, tornano puntualmente a galla, com'era successo nel gennaio scorso per la sfida di Gedda tra Juve e Milan, quando fu precluso alle donne gran parte dello stadio.

Ormai da un paio d'anni la monarchia del Golfo ha fatto irruzione sulla mappa geopolitica dello sport, lanciando la Saudi Vision 2030. Ossia l'emancipazione del Paese entro i prossimi dieci anni dalla dipendenza dal petrolio, aprendo al terziario e ai servizi, a cui si ricollegano un turismo florido e l'organizzazione di avvenimenti sportivi planetari. Soltanto prendendo in considerazione il periodo dall'ottobre 2019 al marzo 2020, risulta che l'Arabia Saudita in sei mesi ha preso in mano grandi eventi di nove discipline diverse, strizzando l'occhio ad altre novità come un possibile Gran Premio di Formula 1 già nel 2021. Tra le conquiste più recenti, l'incontro dell'anno di boxe tra Ruiz e Joshua, valevole per il titolo mondiale dei pesi massimi, e il debutto del grande tennis con la Diriyah Tennis Cup, capace di richiamare gente del calibro di Wawrinka, Fognini, Medvedev, Goffin e Monfils con un montepremi pari a tre milioni di dollari. A Diriyah appunto, uno dei luoghi più simbolici del Paese, patrimonio Unesco che ha dato i natali al Regno d'Arabia. Un viaggio che già un anno fa Roger Federer declinò per il mancato rispetto dei diritti umani e dell'uguaglianza di genere, vale a dire le stesse motivazioni addotte in privato da Tiger Woods nel rifiutare ancora la partecipazione al Pga di golf, previsto a fine gennaio, nonostante sotto il naso gli fossero stati messi fior di quattrini. La strategia del soft power del principe ereditario Mohammed Bin Salman, attuata con la vetrina e la visibilità dei campioni più amati, non piace a molti, Amnesty International ha parlato di sportwashing come strategia «per ripulirsi agli occhi del mondo, per darsi un'immagine finta di Paese moderno». Intanto lo show va avanti, anche la Supercoppa spagnola parlerà arabo, con tanto di nuovo format e regole stravolte, così come il rally della Dakar, che dopo l'Africa ha abbandonato pure il Sud America e terminerà ad Al-Qiddiya. Gli organizzatori sono quelli di Aso, gli stessi del Tour de France, che a febbraio lanceranno le cinque tappe del Saudi Tour di ciclismo.

Un tempo c'era solo la Mecca, ora il pellegrinaggio è degli sportivi.

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