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Il capolavoro di Conte stregare l'Inghilterra beffando Pep e Mou

Il capolavoro di Conte stregare l'Inghilterra beffando Pep e Mou

Tutto ebbe inizio con un barbecue. Convocati i calciatori del Chelsea e parenti, mogli, fidanzate, pupi al seguito. Tutti a scoprire lo chef che veniva dall'Italia e provvedeva a far girare salamelle. Avrebbe poi fatto girare altro. Antonio Conte volle presentarsi così, come l'italiano pronto a capire, a servire ma, in seguito, a farsi intendere e a farsi servire. Il Chelsea lo ha costruito con la sua testa, dura e calda, piena di cose buone. Non ha soltanto vinto la Premier League. Ha vinto contro Mourinho e Guardiola che avevano allestito, con fior di milioni, i due Manchester, ivi portando il meglio, per loro, della mercanzia internazionale. Ha vinto contro Klopp e monsieur Wenger, quest'ultimo prossimo rivale a Wembley nella finale di coppa d'Inghilterra. Questo è stato il capolavoro e il plusvalore della vittoria, uguale e diversa a quella ottenuta con la stessa squadra da Ancelotti o, altrove, da Mancini e da Ranieri, tutti docenti italiani, anche maltrattati dalle nostre parti (Juventus, Inter, Roma, no?).

Antonio Conte era stato definito una nota a piè pagina, gli scudetti vinti con la Juventus e l'avventura della nazionale in Francia erano stati un passaporto importante ma non così illustre come quelli dei sovra elencati Mou and Company. Eppoi Abramovich non aveva per nulla tirato fuori i milioni necessari per rifare un grande Chelsea, reduce, invece, dal decimo posto e con uno spogliatoio diviso da beghe condominiali mal gestite dal portoghese. Antonio Conte non è tipo da caviale e champagne, ha preso alloggio vicino al campo di allenamento a Cobham. Ha tenuto a Torino Elisabetta, moglie, e Vittoria, figlia, che lo hanno raggiunto quando il Chelsea ha giocato partite importanti allo Stamford Bridge, un week end per gradire e non abbandonare la scuola e le buone abitudini di famiglia.

La famiglia. Anche la squadra di football può esserlo. Dopo il barbecue estivo, a Natale Conte ha chiamato a raccolta figli e figlie dei suoi, portandoli al Flip Out Trampoline park di Wandsworth, non lontano da Wimbledon, un parco di giochi, salti, teloni elastici, tanto per ribadire il concetto del gruppo unito. Diego Costa non gradiva molto la nuova disciplina, pensava di avere a che fare con l'italiano presuntuoso, lo affrontò anche a muso (vero) duro, Conte lo rispedì al mittente, fino a quando sei qui devi obbedire, poi potrai fare quello che vorrai. Diego Costa e poi Hazard («Se avesse il mio carattere sarebbe il più forte al mondo»), poi John Terry, capitano a riposo, e Moses con Pedro, in soffitta da Mou. E gli altri, compreso Roman Abramovich con il quale non è facile dialogare. Il russo è abituato a vincere, quest'anno non si aspettava tanto e come. Conte ha trascinato il Chelsea, ne ha stravolto le abitudini alimentari, ha spremuto arance e limoni ottenendo un succo profumatissimo. Ora vuole la coppa d'Inghilterra. Ora deve riflettere se l'Italia è solo nostalgia o altro. Ora sa di non essere più una nota a piè pagina ma uomo copertina. Londra è uscita dall'Europa ma Conte riporta il Chelsea sul continente della Champions League. Il bello deve ancora incominciare. Dipende da un russo. Dipende da un cinese.

Dipende da un leccese.

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