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Cerotti, adesivi e bende. Il Giappone "placca" i tatuaggi del rugby

Coprire i tattoo: nel paese del Sol Levante sono simbolo della mafia locale e ritenuti un'offesa

Cerotti, adesivi e bende. Il Giappone "placca" i tatuaggi del rugby

Arte del corpo così popolare, altrettanto variegata, capace di diffondersi a livello mondiale a macchia d'olio. O meglio, d'inchiostro. Perché un tatuaggio è per sempre, ma non ditelo al Giappone, che in giro non vuole vederne nemmeno mezzo. I tattoo a quelle latitudini sono un simbolo di affiliazione alla Yakuza, la temuta mafia locale, e rappresentano una grave offesa alla cultura nazionale. La questione si è ingigantita visto che il Paese asiatico organizzerà il Mondiale di rugby dal 20 settembre e poi le Olimpiadi l'estate prossima. Arriveranno migliaia di persone tatuate tra atleti e tifosi, che secondo le regole vigenti non potranno accedere a piscine, palestre, spa e altri luoghi pubblici: accesso vietato e bando all'irezumi, termine usato dai giapponesi per quella body art tanto sgradita.

Già da tempo l'ente organizzatore del Mondiale aveva messo le mani avanti: «Non forzeremo nessuno a coprire i tatuaggi, però ci piacerebbe che succedesse come segno di rispetto verso le nostre tradizioni» aveva dichiarato il numero uno Alan Gilpin, che per l'occasione si aspetta le 20 squadre partecipanti con al seguito ben 400 mila tifosi da tutto il mondo. Uno scenario che si ripeterà su una scala molto più vasta dal 24 luglio 2020, quando a Tokyo verranno inaugurati i Giochi Olimpici con oltre 200 nazioni e ben 11 mila atleti chiamati in causa. Sarà caccia al tattoo, però forse non è più tempo, come ha scritto il Japan Times, prendendo una posizione netta: «Il bando ai tatuaggi è una ragione storica di cui il Giappone non ha più bisogno».

La rimozione di un tattoo è costosa, necessita di tempo e fa malissimo. Quindi sotto con le alternative, a cui gli organizzatori hanno già pensato: adesivi momentanei da apporre sulla pelle, vistose fasciature per gli arti o ricorso ai rash guard, indumenti di nylon o poliestere che garantiscono al corpo una copertura totale. Sarà da vedere chi e come si adeguerà, ma secondo gli organizzatori «tutte le squadre hanno accettato la decisione con serenità, comprendendo fino in fondo le ragioni». Chissà come l'avranno presa i mostri sacri neozelandesi, gli invincibili All Blacks campioni in carica, i figli della cultura maori e per i quali i tatuaggi custodiscono un significato che va oltre il disegno in sé. Sono dei tratti distintivi, simboli di un popolo marchiati sulla pelle che però contrastano con i valori e i costumi di un altro popolo, quello giapponese.

Che vuole restare irreprensibile, ma non può chiudere le porte ai tantissimi appassionati in arrivo, soprattutto per motivi economici. Rappresentano pur sempre una fonte di guadagno e le strutture ricettive stanno riflettendo su una sospensione del bando per tutta la durata del Mondiale. Addirittura alcuni stabilimenti termali stanno pensando a delle fasce orarie, dove consentire l'ingresso anche ai tatuati e non farsi scappare l'occasione. Con buona pace dei propri costumi, come suggeriva l'irriverente Groucho Marx. «Questi sono i miei principi.

E se non vi piacciono, beh, ne ho altri».

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