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Com'è lontano il pianeta Usa: travolta la Serbia

Durant, Anthony & C. a valanga. Gli americani, tornati Dream team, al 3° oro consecutivo

Oscar Eleni

Hanno vissuto su un nave nella baia di Rio, ma la verità è che i cestisti statunitensi vincitori dell'oro olimpico nella Carioca Arena stanno per i loro avversari nel resto del mondo su una astronave. Da sempre anche se ci illudiamo di vederli più vicini. Su 18 Olimpiadi ne hanno vinte 15, non perdono da Atene 2004 dove c'era già Carmelo Anthony che poi è diventato il miglior realizzatore olimpico della squadra che fa sognare. Basta che non ci siano incontri ravvicinati come la finale chiusa ieri contro la Serbia tanti a pochi: 96-66.

Il capitano di queste stelle si chiama Kevin Durant, l'uomo che rende facile anche la cosa più difficile. La Serbia di Sasha Djordjevic non gli ha chiesto l'autografo prima della partita, anzi, lo ha sfidato restando avanti 8 minuti nel primo quarto, ma poi lui, che aveva perso una scarpa nell'azione iniziale chiusa con un canestro del Macvan dell'Armani, ha deciso che doveva far vedere cosa fa un giocatore strapagato, il più ricco dei Giochi, 30 milioni in più di Bolt, passato con un contratto miliardario da Oklaoma a Golden State, ma non sono i milioni di dollari a renderlo speciale, è il suo modo di giocare per una squadra.

Nella finale ha deciso che doveva lasciare un marchio sulla sua medaglia d'oro olimpica già vinta a Londra: 20 minuti spaziali, 24 punti, 9 su 14 al tiro, 5 su 8 da 3. Alla fine saranno 30 come a Londra 2012. L'artiglio per catturare il topolino serbo, dopo aver annullato Teodosic e Bogdanovic, per regalare a Carmelo Anthony il terzo oro olimpico. Dal 19-15 dei primi 10 minuti al devastante 52-29 di metà partita, al 79-43 dopo 30'. Certo è facile essere leggeri se domini i rimbalzi e Cousins, che quest'hanno ha giocato con Belinelli a Sacramento, gli ha dato il massimo (12 in 10 minuti) lasciando un po' in disparte di Jordan che prende tutto sotto i tabelloni.

Come sempre noi del mondo al di fuori del pianeta rosso statunitense ci illudiamo. Per la verità questi Stati Uniti senza Lebron James e Stephen Curry, il genio di Golden State che giocherà con Durant l'anno prossimo per riprendersi il titolo NBA lasciato a Cleveland, rappresentata a Rio da Kyle Irving l'uomo del tiro decisivo nella finale per il titolo, questa squadra che per l'ultima volta è stata guidata dal maestro di Duke (al suo posto andrà Popovich di San Antonio e scusate se è poco) nel girone di qualificazione aveva sofferto con l'Australia, la Francia e la stessa Serbia (93-90). Un inganno. Nella finale la partita è durata davvero poco. Quando Durant ha suonato la lira per la Serbia è arrivata la notte.

Bel torneo di basket, peccato che non ci fosse l'Italia, ma un italiano si è preso la medaglia di bronzo e parliamo di Sergio Scariolo che ha guidato la Spagna nella finalina chiusa in volata (89-88) contro la bellissima Australia di Mills, tradita da Bogut (5 falli in 13'). Per don Sergio che nella finale di Londra, quattro anni fa, aveva impegnato gli Usa più della Serbia di ieri, per il tricampeon europeo alla guida dello squadrone iberico guidato da Pau Gasol, una soddisfazione meritata con una squadra che ha chiuso un grande ciclo pur non avendo avuto a disposizione nel torneo di Rio il Marc Gasol che sarebbe stato importante.

Per primeggiare nel nostro mondo, non con i marziani, sia chiaro.

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