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La più squalificante, deprimente, cialtronesca commedia del calcio italiano finalmente si è conclusa. E tutto è finito come nelle previsioni delle prime ore post mondiali: Carlo Tavecchio presidente, ovvero l'inadeguato al potere secondo il copyright Agnelli, Giancarlo Abete ci ha lasciato con i lucciconi, Cesare Prandelli invece con i dollaroni, la serie A è tornata a litigare e a contare solo gli interessi dell'orticello suo. Ci sarebbe da domandarsi: perché mai questa commedia se tutto non è finito in gloria? Il nostro mondo del pallone ancora una volta ci ha dimostrato che non è una cosa seria. Ci potevano stare i “pro Tav” e i “no Tav”, non si poteva fingere di credere che tutta questa guerra e guerriglia si sia scatenata per una frase infelice. Il calcio non si è mai interessato ad alcuna morale, che non fosse quella dei danari.

Ieri il presidente uscente Abete ha fatto sapere che, visti dall'interno, i vetri della federazione sono puliti. Bisogna solo intendersi sul concetto di pulizia. E questa guerra, seppur nel nome di un rinnovamento che serviva e chissà se ci sarà, aveva tanto di sporco: da una parte e dall'altra. Sono state sorpassate regole e regolamenti, Tavecchio è passato indenne dove altri sarebbero stati messi alla porta per frasi che non doveva, e non poteva, dire. La serie A è stata incapace di generare un candidato perché non ha mai pensato di crearselo nel tempo. Ieri ha vinto gente che, dietro le spalle, ha una serie di fatti e fattacci. Il pallone si è messo in mano a Lotito. Dovevate vedere la faccia soddisfatta di Preziosi per capire. E, di contro, lo sguardo imbufalito di Andrea Agnelli, planato dall'Australia per arginare il clan dei suoi fuggitivi.

In questa elezione hanno perso almeno in tre. Il calcio, che ha eletto un presidente di indubbie qualità imprenditoriali ma troppo datato: non tanto per l'età quanto per il modo di pensare e gestire. Agnelli e la Roma, che hanno provato a scardinare pali e paletti di un mondo che vive e sopravvive tra furbi e furbizie. Infine l'esercito dei media che ha criticato e in gran parte preso posizione decisa contro Tavecchio. Si è aggiunta perfino una Tv che porta danari sonanti, dunque ha interesse a salvaguardare il prodotto. Nel calcio raramente si è vista un'armata giornalistica così compatta, eppure ha perso. Per noi tutti non c'è da stare allegri. I voti hanno pesato più dei titoli e delle parole, come si conviene in democrazia.

Però la domanda resta: conta poco la stampa o il nostro pallone è imprigionato in situazioni padrinesche? Speriamo che Tavecchio sappia rispondere.

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