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Conte assolto: poteva non sapere

Il ct scagionato completamente al processo di Cremona. Rinviati a giudizio invece Doni, Mauri e 90 altri imputati

Luca Fazzo

Esce a testa alta dalla scena del processo, e a testa alta potrà andarsi a sedere sulla panchina della Nazionale il mese prossimo, guidando gli azzurri agli Europei in terra di Francia. Il commissario tecnico dell'Italia di calcio Antonio Conte ha visto premiata ieri la linea difensiva che ha tenuto fin dai primi giorni in cui - era l'aprile 2012, e lui era l'allenatore della Juve avviata a vincere il ventottesimo scudetto - venne investito in pieno dall'inchiesta di Cremona sulla gang del calcioscommesse. Ieri il giudice Pierpaolo Belluzzi ha chiuso l'udienza preliminare. Tanti rinvii a giudizio, tante condanne, e una manciata di assoluzioni. Una è per lui, Conte, che aveva chiesto il rito abbreviato proprio per tagliare i tempi, e arrivare senza pendenze giudiziarie al suo ultimo impegno con la Nazionale. Scelta coraggiosa, presa insieme ai suoi legali Francesco Arata e Leo Cammarata, perché esponeva il ct azzurro al rischio di una condanna per frode sportiva alla vigilia di una competizione cruciale.

Invece ieri è arrivata l'assoluzione. La sentenza dice che Conte è innocente «per non avere commesso il fatto». Significa che il biscotto, l'accordo sottobanco tra i giocatori del suo Siena e quelli dell'Albinoleffe per garantire ai bergamaschi la vittoria nel match del 29 maggio 2011 vi fu, ma ad orchestrarlo furono solo e soltanto i giocatori, all'insaputa di Conte; e che Conte non diede neppure un via libera implicito. Nella sentenza il giudice parla di «quadro gravemente deficitario» della «prova della conoscenza» da parte di Conte della combine, «non emergono elementi per ritenere che fosse a conoscenza di operazioni di scommesse collegate al risultato concordato della partita».

Per la Procura di Cremona è una sconfitta più mediatica che sostanziale, perché il giudice comunque rinvia a giudizio per associazione a delinquere novanta persone tra calciatori (ci sono Cristiano Doni e Stefano Mauri), faccendieri, intermediari, capibastone. La gang che inquinava con le sue scommesse il calcio italiano, esisteva eccome, e in questo i pm vedono riconosciuto il loro lavoro. Ma è indubbio che la rilevanza giornalistica dell'indagine ebbe nel coinvolgimento di Conte il suo apogeo. Per un altro big iscritto nel registro degli indagati, Rino Gattuso, fu lo stesso pm a dover chiedere l'archiviazione. E ora che viene assolto anche il ct azzurro in Procura tira un'aria di rassegnazione, «non credo che faremo appello», dice il pm Roberto Di Martino: anche perché ormai la prescrizione incombe.

Non era un esito scontato. Sulla sorte di Conte pesavano le parole di Filippo Carobbio, centrocampista del Siena («fummo tutti d' accordo, squadra e allenatore, di lasciare il risultato all'Albinoleffe» e poi del portiere Fernando Coppola («in sostanza lui si chiamò fuori, Conte ribadì che lui ci teneva ad arrivare primo, ma che, qualora la squadra si fosse ritenuta impegnata dall'accordo con l'Albinoleffe ci avrebbe lasciato fare»), ritenute credibili dalla giustizia sportiva che condannò Conte a quattro mesi. Ma ora il giudice retrocede a «concetti di verosimiglianza e probabilità» le accuse mosse dalla Procura al ct. Su cosa accadde davvero nello spogliatoio del Siena, dovrà ora indagare la magistratura di Bergamo, cui ieri il gip di Cremona ha trasmesso il troncone per competenza territoriale. Compresa la posizione di Cristian Stellini, assistente di Conte sia a Siena che alla Juve, che secondo la Procura aggiustava incontri a ripetizione.

All'insaputa del capo, a quanto pare.

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