Giro d'Italia

La crono non cambia la rosa E in Ecuador è "Carapazzia"

Carapaz resiste a Nibali e Roglic e rivive la propria storia «La vittoria più bella? Quella di mia mamma sul cancro»

La crono non cambia la rosa E in Ecuador è "Carapazzia"

Verona È un Giro che fa storia e racconta ancora una volta una bellissima storia, che sa di favola. Quella di un ragazzo venuto dai campi del Sudamerica, che si veste di rosa e sorride al mondo con il pudore di chi conosce la fatica e non dimentica la strada che è stata percorsa per arrivare fin qui.

Il Giro applaude per la prima volta nella storia un corridore ecuadoriano. Un campesino che di nome fa Richard Carapaz. È questo ragazzo di 26 anni, nato sulle Ande, che si porta a casa una delle maglie più prestigiose del ciclismo. «È bellissima ha detto dopo un pianto liberatorio - è una maglia che ho cominciato ad amare quando la vidi per la prima volta sulle spalle di Marco Pantani, la mia vera ispirazione». E aggiunge: «Sono nato in un paesino a 20 minuti dalla Colombia e lì ho vissuto fino a quando ho cominciato a correre in Colombia. Prima però ho lavorato per la famiglia, mi sono dato da fare come tutti. Quando ero adolescente mia mamma si è ammalata di cancro e per qualche tempo mi sono preso cura delle mucche: davo loro da mangiare, e le mungevo. Grazie a Dio oggi la mamma è guarita: quella resta la vittoria più bella di tutte».

È un uomo che parla senza enfasi, con la semplicità di chi sa dare valore alle cose. Parole sussurrate, per un ragazzo che sa ascoltare i silenzi. Nato a tremila metri, sa volare in bici, ma Carapaz mantiene ben saldi i piedi per terra. È di El Carmelo, la sua parroquia, l'area rurale in cui è cresciuto. «Lì ho i miei affetti, la mia gente la mia prima bicicletta scassata, che i miei genitori mi regalarono dopo averla presa in una discarica racconta Richie, come ama essere chiamato: altro che la locomotora del Carchi -. Guai chi me la tocca quella bici. Il presidente Moreno la vorrebbe da esporre in un museo, ma quello è un bene troppo prezioso».

Non c'è verso, per il momento, di fargli cambiar idea. Testa dura e gambe di ferro. Scalatore puro, capace di tirare anche lunghi rapporti. Testa incassata e mani sul manubrio. Pedala seduto sulla sella, ma è capace anche di scattare, quando è necessario. Come a Frascati o a Courmayeur, tappe da lui vinte. Il momento più duro? «Il finale a Monte Avena, sabato, dove tutti eravamo quasi al limite delle forze. Però la fatica e la sofferenza dello scorso anno sullo Zoncolan non l'ho mai provata prima».

L'altro giorno, all'arrivo di Monte Avena, ha trovato la moglie Tania Rosero e i figli, Sofia di 2 anni e Santiago di 5, oltre al cugino Omar Chamorro e il suo amico del cuore Santiago Alvarado. Ieri a Verona c'erano anche mamma Ana Luisa il papà Antonio.

Un Paese impazzito e in festa, che non sta più nella pelle. Il presidente della Repubblica, Lenin Moreno, ha scritto un tweet per annunciare la vittoria e ha fatto tutto il necessario per facilitare il rilascio dei visti d'espatrio dei familiari del ragazzo: al rientro in patria riceverà come premio un'alta onorificenza. «Per il tuo Paese sei un orgoglio», ha detto.

Da Quito, la capitale, e da Tulcàn, città capoluogo del Carchi è scoppiata letteralmente la carapazzia. Una malattia curabile ma al momento incontenibile. «Sono felice e quasi incredulo di quello che ho saputo fare dice il diretto interessato . E sono felice di quello che sta provando la mia gente. Se questa vittoria genera gioia, io non posso che esserne felice.

Spero di poterne regalare altre di giornate così».

Commenti