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Il derby di Manchester riparte da Ibra e Rooney

Il City è scatenato, vuole anche Zlatan. Il colpo dello United è la conferma di Wayne

Il derby di Manchester riparte da Ibra e Rooney

Manchester anno zero. Padroni della Premier League ormai da un lustro, United e City hanno deciso di ripartire da capo. Per scelta o necessità. Un rilancio per confermare un primato che quest'anno sarà insidiato dal Chelsea di José Mourinho. Il grande ritorno. Cambiare tutto per non cambiare nulla, ovvero la supremazia domestica. E magari tornare (o diventare) protagonisti anche in Europa. Prima c'era lo United. Il suo balsone, un palmares senza eguali in Inghilterra con l'arrivo di Sir Alex Ferguson (1986): 36 trionfi nei 26 anni di regno all'Old Trafford. Poi ecco la prepotente ascesa dei Citizens. Da comprimari perdenti a rumorosi vicini, grazie ai petrodollari dello sceicco Mansour. Con Roberto Mancini, tre anni e altrettanti trofei. L'indiscussa supremazia dello United vacilla, Sir Alex corre ai ripari, e la scorsa estate strappa proprio al City Robin van Persie. L'olandese segna 26 reti, trascinando lo United al 20° titolo nazionale. La rivincita attesa solo 12 mesi, da quel gol di Aguero a tempo scaduto.

Nel frattempo il City ristruttura le sue gerarchie, da Barcellona arrivano due nuovi plenipotenziari: Txiki Begiristain (direttore sportivo) e Ferran Soriano (direttore generale). Si spostano gli equilibri di potere, e Mancini ormai può contare solo sulla stima dello sceicco. Che però vive a più di seimila km di distanza. I tifosi lo amano ma quando perde la finale di Fa Cup contro il già retrocesso Wigan il suo destino è segnato. Il nuovo teclico è Manuel Pellegrini, ex Malaga, ex Real Madrid. Evidentemente più in sintonia con il duo catalano al potere. Si rimodella la rosa, nell'ennesima estate di spese folli. Dallo Shakhtar Donetsk arriva il brasiliano Fernandinho per 35 milioni di euro, dal Siviglia l'ala Jesus Navas (25 milioni). Fanno le valigie Carlos Tevez e Kolo Touré, ma resta scoperto un posto in attacco. Perché Edin Dzeko è stato declassato a pedina di scambio per arrivare a Jovetic, a Suarez, ora persino a Ibrahimovic. Ma in nome della iberizzazione potrebbe arrivare anche Negredo, giovane attaccante del Siviglia.

Opposta la strategia dei Red Devils. Metabolizzato lo shock per il ritiro di Ferguson, il comando è stato dato ad un altro scozzese, David Moyes: «Un giorno Ferguson mi ha invitato a casa sua. Pensavo volesse parlare di un mio giocatore. Invece mi ha comunicato che si sarebbe ritirato. E che io ero il nuovo manager del Manchester United». Un'investitura senza diritto di replica. Un passaggio di consegne nel segno della continuità (stessa mistica del lavoro). In queste settimane i due stanno lavorando gomito a gomito: da anni il mercato dello United è fatto di pochi colpi ma mirati, soprattutto talenti in prospettiva. Quest'anno è toccato a Guillermo Varrela, terzino destro del Peñarol. La rosa che eredita Moyes è relativamente giovane, ma si cercherà di integrarla con il laterale della nazionale inglese Baines. La prima vera decisione di Moyes però è stata la conferma di Wayne Rooney, nonostante le operazioni di disturbo di Mourinho e l'infortunio al ginocchio che lo terrà fermo un mese. I rapporti con Ferguson erano irrimediabilmente deteriorati, e Wazza aveva chiesto di partire.

Moyes ha lavorato di diplomazia per convincerlo a restare, solleticando l'orgoglio del giocatore, a soli 52 gol dal record di marcature di Bobby Charlton.

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