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Dietro le due imprese il trionfo del made in Italy

Possono un paio di uomini, anche se con le stigmate dei campioni, fare ombra a uno splendido successo di due eccellenze industriali del made in Italy? Sì che possono. Come nel caso della Rossa, la Ferrari, per colpa del suo recente futuro di nome Vettel; e come nel caso delle Rosse, le Ducati, per colpa del loro recente passato di nome Valentino. Se non fosse che Marchionne è uomo d'azienda, che Arrivabene è suo uomo e che entrambi hanno ribadito mille volte il dannato lavoro di 1300 persone dietro la splendida vittoria di Vettel, in molti avrebbero parlato soprattutto di Vettel. Non, invece, del made in Italy che ha dato a un made in Germany l'opportunità di battere gente di casa sua come la Mercedes. E neppure del dt James Allison che ha saputo impastare per benino quanto di buono c'era già a Maranello. Dai molti tecnici italiani, su tutti Simone Resta responsabile aerodinamico e Mattia Binotto capo dei motori, all'iniezione di capitali – si vocifera circa 100 milioni di euro – decisa negli ultimi 12 mesi dal tandem Montezemelo-Marchionne. Ossigeno che ha permesso di ammodernare finalmente la galleria del vento, di rinnovare simulatori, di acquistare nuovi banchi motore.

Quanto alle Rosse, in Qatar tutti a spellarsi per Valentino. Ma avremmo dovuto farlo in ugual misura per i due Andrea, Dovizioso e Iannone, perché bravi e perchè erano su un missile che pareva correre lungo rotaie. Cosa mai vista con le Ducati MotoGp che avevano depresso pure Vale. E anche qui altra Italia. Quella capitanata dall'ingegner Gigi Dall'Igna, papà della Aprilia mondiali in Sbk e capace in un anno – quando ce ne vogliono tre – di coordinare gente che in parte già c'era e progettare al pc la Gp15. E in poco più di un mese portarla dal display al... doppio podio. Maligni ed esterofili potrebbero obiettare che con tutti i soldi Audi... Mica vero. I 50 milioni investiti questa stagione in ricerca e sviluppo sono tutti made in Italy. Perché come disse il patron Audi Rupert Stadler, «Ducati resterà Ducati». I tedeschi son tedeschi.

Ma non sono scemi.

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