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Dopato fra i dopati E così Pantani resta il più grande di tutti

Oltre al Pirata coinvolti Cipollini, Ullrich, Sacchi e Tafi. Quanti dubbi su un'intera epoca. Indurain compreso

Dopato fra i dopati E così Pantani resta  il più grande di tutti

Purtroppo su Marco Pantani c'è già una gelida pietra tombale, l'unica che davvero conti per mettere la parola fine su tutto. Di quest'altra, sul suo mito e sulla sua fama, nessuno sentiva il bisogno, ma lo zelo del Senato francese non si è fermato davanti a niente. Alla fine, i nomi dei dopati in quel fatidico Tour 1998 escono alla luce del sole e non si salva più nessuno. Per parte italiana, ci ritroviamo pure Tafi, Cipollini, Sacchi, tanto per ribadire ancora una volta il già noto, e cioè che negli anni Novanta l'Epo era pratica comune e diffusa. E ti credo: in quel periodo, come mossa per arginare il doping ematico, la federazione internazionale (Uci) ebbe la grande idea di fissare il tetto dell'ematocrito a 50. Per atleti con valori personali intorno a 42-44 era come un doping libero: tutti autorizzati al rabbocco Epo fino alla soglia legale, come dimostrò anche la famosa mattina di Campiglio, al Giro '99, quando Pantani precipitò nel fango sforando i limiti, ma tanta bella gente la sfangò fermandosi a 49,9.

Non perdiamoci in altre chiacchiere: questo dossier del Senato francese, che nessun nome fa su calciatori e rugbisti sporchi perché le rispettive federazioni, al contrario di quella ciclistica, hanno ritenuto di criptarli, questo documento ponderoso e tardivo non aggiunge praticamente nulla al risaputo. Diciamo solo che lo certifica, con la prova dei campioni analizzati quindici anni dopo, grazie alle tecniche modernissime di identificazione certa dell'Epo nel sangue umano.

Era dopato Pantani, era dopato il secondo (Ullrich), era dopato mezzo mondo. Ovviamente soltanto un idiota potrebbe pensare che il fenomeno fosse circoscritto a quella annata, il ruggente 1998. L'Epo nasce molto prima, come confessato da Riis, un altro vincitore (1996) con ematocrito atomico, e come i più recenti studi di fisiologia stanno pensando rianalizzando lo stesso mito Indurain, capace nei suoi cinque Tour di sviluppare potenze umanamente inspiegabili.

È tutta un'era, è tutta una storia che va presa e passata agli archivi con questo asterisco doveroso: andavano fortissimo, ma erano dopatissimi. La prova finale, la madre di tutte le prove che demolisce ufficialmente Pantani, può gettare nello sconforto e nell'imbarazzo soltanto i sindaci che hanno eretto suoi monumenti in piazza, i volontari che hanno intitolato squadre ciclistiche al suo nome, le fondazioni che hanno raccolto denaro in suo onore. Costoro, guidati dalla mamma Tonina, hanno difeso fino allo stremo l'idea che Marco fosse una vittima, un perseguitato, un martire, contro il quale oscure congiure avevano ordito le più bieche manovre in sede di provette antidoping. È un atteggiamento umanamente comprensibile, quasi commovente, ma troppo fragile sin dall'inizio. Tant'è vero che ora finisce in miseri frantumi.

Personalmente preferisco continuare a vederla in tutt'altro modo. Pantani - anche Pantani - era dopato. Ai suoi tempi, tutti - salvo marginalissime eccezioni - facevano così. E allora, partendo da simili presupposti, persino questo dossier del Senato francese può essere accolto con molta serenità. Nessun terremoto, nessun cataclisma, nessuna classifica da riscrivere. In quelle pagine scrivono ufficialmente che nel Tour 1998 andavano tutti ad Epo. La vittoria di Marco, così, non fa una grinza.

Dopato tra i dopati, resta il più grande di tutti.

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