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E by night non fa più paura. Ma non solo per soldi

Dal rischio di pagare penali alla Rai alla ribellione del calcio a uno Stato che non sa proteggere

E by night non fa più paura. Ma non solo per soldi

Roma di notte: bellissima. Un privilegio dell'uomo. Lo stadio Olimpico, ieri sera, è tornato ad accendere le luci e la grande bellezza stava sul prato pettinato di verde, la Lazio e la Roma a sfidarsi per la semifinale di coppa Italia. Una partita di calcio. Finalmente.

Giusto così, come accade dovunque, come deve accadere in un Paese civile, nella città Capitale, che, insieme con il Paese stesso, ritiene e si permette di diventare incivile per una questione di football.

Ha vinto la Rai? Ha perso la Lega calcio? Ha vinto il denaro?

No, ha vinto la logica, almeno stavolta, ha vinto la normalità di non abbassare la guardia, ha vinto il coraggio di non avere paura.

Rai, come le altre emittenti, Sky e Mediaset, tiene in vita, garantendo contratti multimilionari, società altrimenti destinate al tracollo finanziario. Dunque le banche radiotelevisive hanno il diritto di proporre e imporre il tasso del mutuo, l'orario dei giochi. Se lo Stato, poi, non è capace di gestire gli stessi giochi, di guidare l'ordine pubblico, di essere, appunto Stato, non può scaricare la responsabilità sulle televisioni e sullo stesso sport. Le gabbie di separazione, in uno stadio, l'Olimpico, o le curve chiuse, sono una tortura indegna, un segnale di resa, una fuga dalle responsabilità, non certo una forma di educazione alla civiltà. Il derby di Roma ha la sua storia eterna, come la città che lo contiene e lo soffre e lo celebra, non soltanto nell'ora e mezzo della partita. Non ha vinto la Rai, dunque, ma la stessa Rai (come Mediaset e Sky, come tutto il mondo dei media) perde quando subisce la volgare ingerenza dei club, di dirigenti, allenatori, calciatori, tesserati che prima snobbano e insultano i media, poi li sfruttano, per la propaganda, per i messaggi, per le denunce. Eccoli, allora, fuori dal canneto, scatenano l'attacco all'arbitro, ai giornali, ai giornalisti, alle televisioni, ai commentatori, ignorando l'educazione, calpestando il rispetto dell'avversario, aggredendo l'interlocutore ma, per fortuna nostra, esibendo anche la faticosa frequentazione della sintassi e della grammatica elementare, aizzando il popolo bue che altro non aspetta se non la rissa, l'aggressione verbale, l'insulto. Il vero problema non è la notturna ma il pensiero che il giornalista, o l'arbitro, siano figure cartonate, sputacchiere pronte all'uso. Debbono prestarsi, obbedire, accettare il silenzio stampa, inchinarsi all'ordine supremo di ricchi cafoni, subire il ricatto e la minaccia ed esporsi a scene mortificanti, come accade ripetutamente a Napoli come a Torino, a Milano come a Genova, a Firenze, dovunque; là dove il calcio italiano, i suoi capi, i suoi attori, non hanno ancora capito che, senza i denari delle televisioni e l'informazione quotidiana, sarebbero tutti naufraghi tra i debiti e la bancarotta, alcuni anche spediti al gabbio. La notte del derby potrebbe essere l'alba di un altro calcio. Temo che così non sarà, perché la colpa è dell'arbitro, la colpa è della stampa. Non è la notte a mettere paura.

Ma il buio dei cervelli.

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