Calcio

"Il Monza è entrato nel cuore della famiglia. Ma il presidente rimarrà sempre Silvio"

Paolo Berlusconi: "Essere suo fratello è il più grande onore, ma anche un onere: perché non volevo deluderlo. Nel momento del mio tumore mi chiamava al telefono 3 volte al giorno dicendomi amore..."

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Dietro di sé, tre grandi composizioni fotografiche con le immagini di papà Luigi e mamma Rosa. Le foto di Silvio, dei figli e dei nipoti. E poi i gagliardetti del Milan. Davanti, un cellulare che squilla, lo stemma del Monza sulla cover, un'agenda fitta e un telefono fisso da cui filtrano chiamate. Perché c'è il futuro da programmare, senza lasciarsi alle spalle il passato.

Presidente Paolo Berlusconi, tra passato e futuro, partiamo dal presente. Quanto vi ha infastidito dover smentire l'ipotesi di vendita del Monza a un fondo giapponese?

«Siamo abituati alle fake news che costellano la nostra attività. L'ultima, allucinante, sul fatto che mio fratello avesse fatto testamento in Colombia lo stesso giorno che avevamo una riunione ad Arcore».

Ma l'ipotesi di un partner, come avevate già anticipato, è tuttora valida?

«Il Monza e Fininvest sono aperte a partecipazioni di minoranza, perché il Monza è entrato nel cuore della famiglia. Poi, sul futuro, non bisogna mettere ipoteche».

C'è anche Red Bull tra coloro che bussano alla vostra porta?

«Abbiamo avuto diverse interlocuzioni con gruppi interessati. Ogni giocatore che riceve interesse da parte nostra si sente onorato e questo la dice lunga sulla reputazione di questa squadra».

Durante la cena con gli sponsor quella della battuta del pullman ci fu l'altolà di suo fratello a possibili ingressi arabi. Ma se ora l'interesse arrivasse proprio da lì?

«Il calcio non è più quello di 30 anni fa e assistiamo all'interesse di americani, arabi e qatarini. Non ci devono essere preclusioni, ma noi siamo molto attenti nel fare entrare in partecipazione chi ha requisiti reputazionali all'altezza».

Galliani ha detto che non abbandonerà mai il Monza. La famiglia Berlusconi?

«Adriano è un'edera attaccata al Monza in modo indissolubile. Il tifoso monzese deve ricordarsi di Renato Pozzetto e del film in cui dice Io sono del Monza, non andremo mai in serie A. Silvio con Galliani ha fatto il miracolo e bisogna essere consapevoli di questo, così come il tifoso deve essere consapevole che la famiglia è vicina al Monza. Più di così, non dobbiamo chiedere».

Contro la Salernitana, nel Monza 9 su 11 in campo erano italiani. Però Spalletti non ne ha convocato uno...

«Forse perché siamo troppo italiani - ride -. Oggi ci sono diversi giocatori che possono essere presi in considerazione dal ct, da Colpani a Pessina, da Vignato a Ciurria e Di Gregorio. Altri stanno sbocciando».

Lo scorso weekend, in 10 contro 11 per più di un tempo, poi il ko con la Roma e la polemica Mourinho-Palladino. Che idea si è fatto?

«La classe non è acqua... La squadra ha dimostrato di potersela giocare alla pari».

Si sente addosso il peso di chi cerca in lei quel che vedeva in Silvio Berlusconi?

«Il Monza è una creatura ideata da Silvio e Adriano, anche al Milan ho sempre svolto ruolo di vicepresidenza per l'affetto che mi legava a Silvio cercando di rispettare i ruoli e non creare confusione. Oggi sono presidente onorario, il ruolo di presidente anche se formalmente non assegnato spetta sempre a lui. Come anche in politica, dico sempre che Silvio c'è, è il presidente di Forza Italia e presidente del Monza. Per me è sempre stato ed è un onore rappresentarlo. Come lo è stato nel nostro Milan, così al Monza. E oggi soffro di più per il Monza che per il Milan. Quando a Roma è stato espulso D'Ambrosio, ho spento la tv e ho guardato il risultato a partita finita. A volte è giusto preservare il cuore...».

Come per la finale dei playoff di B. Non guardò la partita e disse di aver acceso il telefono solo tempo dopo...

«Era per me un momento molto difficile per un tumore maligno alla gola - fa una pausa -. Mio fratello mi è stato molto vicino. Anziché una volta al giorno, mi telefonava due o tre volte al giorno e mi chiamava sempre amore. Silvio era amore puro».

Lo definiva anche il presidentissimo, lei era il presidente. La sua capacità di stare un passo a lato, come era letta da Silvio? Eleganza, intelligenza o affetto?

«Non era una deminutio. Il giorno dei funerali, in piazza Duomo, sentire cantare Un presidente, c'è solo un presidente è stato molto commovente. Tra me e mio fratello c'era e c'è un amore che va oltre ogni confine. Non c'è mai stata competizione. Essere fratello di Silvio Berlusconi è certamente stato un onere, perché non volevo deluderlo. Ma anche un grande onore. E l'onore è stato certamente superiore».

Quanti sono, oggi, a chiederle «Paolo, come stai»?

«Io ho pianto molto da Arcore a Piazza Duomo, il giorno del funerale. In tutto il tragitto vedevo gente comune inginocchiata, che applaudiva, pregava, sventolava bandiere del Milan, del Monza, di Forza Italia. Credo sia giusto somatizzare il dolore. Oggi sono molto sereno, perché so che mio fratello continua a esserci. Sui telefonini, su Tik Tok. Nei video appare sempre con un aspetto monotono: quello del sorriso. Perché lui regalava sorrisi a tutti. Ancora oggi vengo fermato da gente comune che mi ricorda come sapesse interessarsi ai capi di stato e alle persone umili. Il responsabile di una comunità di tossicodipendenti, recentemente mi ha detto che è stato molto aiutato da mio fratello. Silvio gli pose solo una condizione: di non rivelare che lo stesse aiutando. E questo fa commuovere».

Dell'intitolazione del Belvedere di Palazzo Lombardia a suo fratello, lei ha detto che era quasi un atto dovuto. E l'ipotesi intitolazione dell'aeroporto di Linate?

«Io ho un'altra idea, un altro progetto. Ma ora non posso dire di più».

Se quell'intitolazione fu atto di riconoscenza, anche quella di Palladino lo è stata. In estate una big lo aveva cercato, ma lui è rimasto perché aveva dato la parola...

«Palladino è la prova che la riconoscenza esiste. Tutti coloro che hanno vestito la maglia del Milan e del Monza hanno avuto la possibilità di conoscere il grand'uomo che era Silvio. Mentre in politica, la riconoscenza è cosa rara».

Riconoscenza l'avranno anche Frattesi e Carlos Augusto, lanciati dal Monza. Uno gioca e segna in Nazionale, l'altro è stato convocato in Selecao. Eppure entrambi sono finiti all'Inter.

«Questo è l'unico disappunto che muovo alla nostra società: l'aver ceduto due campioni ai cugini - sorride -. Perché è giusto mantenere una certa rivalità, anche se in Europa mio fratello tifava anche l'Inter. La rivalità è a livello di sfottò simpatici».

Lo scorso anno si diceva che trattavate Icardi, invece stavate parlando con Dybala. Il tifoso del Monza s'era fatto il palato, ma quest'anno Colombo è arrivato solo a poche ore dalla chiusura. Perché?

«La prerogativa di Galliani è arrivare al colpo dell'ultimo minuto, anche per motivi economici. Ricordiamoci che il Monza soprattutto adesso che non c'è più Silvio deve fare di conto. Ha delle perdite notevoli, le più consistenti tra le squadre di metà classifica ed è comprensibile avere un occhio per questo aspetto».

La Conference League sfuggita all'ultima giornata è un rimpianto?

«Quest'anno la squadra è più conosciuta, ma anche più consolidata. La squadra mira alla parte sinistra della classifica, è giusto sognare l'Europa, ma consapevoli che il primo obiettivo è restare in A».

Meglio intitolare a Silvio lo stadio di Monza o quello nuovo del Milan?

«Su Monza credo ci stia. Se il nuovo stadio fosse del Milan e non condiviso, sicuramente sì. È stato il presidente che ha fatto vincere di più e penso che resterà ineguagliato».

Van Basten a Barcellona per la prima Coppa Campioni, Gytkjaer a Pisa, lei e Silvio in campo insieme con la maglia dell'Edilnord: dovesse scrivere un libro sulla sua vita nel calcio, quale sarebbe l'immagine di copertina?

«Io non sono selettivo, sono coinvolgente e per questo probabilmente metterei sullo sfondo la vecchia Edilnord, in cui io ero centravanti, Dell'Utri allenatore e Silvio presidente.

Poi in primo piano il Milan e il miracolo Monza in sovrapposizione».

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