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Ferrari e Valentino a terra. La solitudine dei numeri primi

Alla Rossa serve che il presidente Elkann ora batta i pugni. Mentre Rossi è ostaggio di un mondo che ha bisogno di lui

Ferrari e Valentino a terra. La solitudine dei numeri primi

La solitudine dei numeri primi è un libro scritto sull'asfalto. A quattro mani. Dalla Rossa. Da Rossi. La solitudine dei numeri primi racconta di un amore tormentato per le corse, i motori, i rischi. Racconta di successi, tanti, troppi, a tal punto che il palato di noi tutti è diventato fine, esigente, mai contento e, forse, proprio per questo ogni loro passo falso ci è parso e pare un pugno in pieno viso, un tradimento della passione. La solitudine dei numeri primi è la mesta atmosfera calata su entrambi nello stesso giorno: domenica. In Austria, casa di Niki Lauda senza più Niki Lauda, è successo alla Ferrari, quando Charles Leclerc è stato beffato e superato con manovra estrema e dubbia da Verstappen a pochi chilometri da quella che sarebbe stata la sua prima vittoria in F1 e il record di precocità per un pilota del Cavallino. È la seconda volta che gli capita di buttare via il trionfo all'ultimo. Ed è accaduto in Olanda, ad Assen, casa del motociclismo, a Valentino Rossi finito a terra per la terza volta di fila in questa stagione. Cosa successa solo nel 2011, in quell'anno disgraziato e tragico in sella alla Ducati e segnato dalla morte di Marco Simoncelli.

Si sentono soli, la Rossa e Rossi. Con i loro dubbi, con le loro insicurezze. «Decisione sbagliata, e dimostra che a Montreal avevamo ragione noi» ha tuonato il team principal del Cavallino, Mattia Binotto, rimarcando l'ingiustizia di fondo di una decisione apparsa, regolamento alla mano, scorretta e però giusta perché in linea con la richiesta della stessa Ferrari, dopo la penalità data a Vettel in Canada, di maggiore libertà ai piloti nei duelli. Binotto sta facendo un lavoro incredibile, perché la macchina è buona ma la Mercedes di più, perché la gestione dei piloti, stavolta una coppia doc e non più mezza addormentata come nel recente passato, richiede uso sapiente di bastoni e carote, perché anche il modo in cui la chiesa rampante comunica con l'esterno è migliorato. Unico neo, enorme, soverchiante: manca l'uomo forte sopra il team. Che protegga e faccia valere le ragioni dell'intera squadra su altri tavoli. Era dal 1992 che questa figura era sempre presente in Ferrari. Prima il ventennio di Luca Montezemolo presidente, poi i quattro anni di Sergio Marchionne, scomparso lo scorso luglio. Il successore, il presidente John Elkann, deve ancora prendere le giuste misure di questo ambiente squalo e sregolato.

Solo è anche Valentino Rossi. In compagnia della propria incredibile passione e ostinazione, e di un mondo, quello delle moto, pronto a tutto, nonostante i suoi 40 anni, pur di non farlo andare via. Mondo che da un ritiro del Dottore ne uscirebbe dimezzato per giro d'affari e appeal. «Tre cadute di fila, per di più su piste che amo, sono un problema... ma forse ho trovato qualcosa per essere più competitivo» ha detto Vale sconsolato. Domenica al Saachsenring la riprova. «In fondo sono ancora la migliore Yamaha in classifica» ha aggiunto. Tutto vero. Ma la solitudine del numero primo sta anche in questo: vedere il proprio compagno vincere e convincersi che ci sia sempre un modo per rimediare. Forse è solitudine, forse è la linfa dell'eterno campione.

Meglio pensare alla seconda.

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