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La Francia vieta l'insulto. Ordina stadi come chiese

La Francia vieta l'insulto. Ordina stadi come chiese

Informate i parenti di Cambronne: in Francia sarà vietato severamente qualunque insulto che possa risultare omofobo. D'accordo, il «merde» del generale francese fu l'ultima risposta agli inglesi di Waterloo vincitori in battaglia ma qui è roba di pallone e siamo ormai in piena fase del ridicolo, soprattutto nella douce France che viene stuprata dai gentili gilet gialli ai quali è consentito la qualunque oppure nel terroir di Sua Eccellenza, il primo ministro, Macron Emanuele, che si può permettere di considerare gli italiani «lebbrosi e vomitevoli». Orbene, le reazioni nei confronti dello strillo razzista, violento e volgare, dell'epiteto rivolto al ragazzo di colore e ce ne sono tanti, tra coloured e insulti come confermano le cronache della Ligue 1, sono giuste, doverose, ma la crociata contro il vaffa dei tifosi va oltre ogni logica, toglie il gusto dell'insulto, sì screanzato, ma che fa parte della storia di osterie, campi di calcio, caserme e, perché no, cortili e condomini. Lo stadio non è una cloaca ma nemmeno una dependance della Sorbona, se, nella scorsa settimana, è stata sospesa temporaneamente la partita tra Nancy e Le Mans, per le parolacce degli ultras della maison che diede la nascita calcistica a Michel Platini, la Francia si è concessa un bis a Rennes quando si sono presentati i ricconi del Paris Saint Germain, i quali sono stati accolti da uno slogan di poche ed efficaci paroline: «Paris, Paris, on t'encule», robaccia di facile ed immediata traduzione, frasario che appartiene, tuttavia, anche al vocabolario comiziante di Grillo e al suo movimento di grande popolarità in Italia. Ma la Francia, quella delle boites e dei gigolò, si fa improvvisamente bigotta e decide di risciacquare la lingua nella Senna. Avremo stadi di football come chiese, novanta minuti di olalà e parbleu.

Cambronne continui a dormire pure tranquillo, il suo «merde» resterà nei secoli.

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