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Gasperini e i suoi "fratelli". Quanti prigionieri dell'insulto

Da Mazzarri ad Ancelotti, da Crespo a Suso e Candreva tutti fischiati pure dai loro tifosi. E c'è chi è andato dallo psicologo

Gasperini e i suoi "fratelli". Quanti prigionieri dell'insulto

Il popolo è sovrano. Come il pubblico, che paga il biglietto e s'intasca un diritto non scritto di cui abusa. Quello di fischiare, contro gli avversari e contro i propri beniamini; quello purtroppo di insultare chi fino all'altro ieri aveva glorificato per un gol da copertina. Nel calcio è un trend che risale alla notte dei tempi, chi è bandito da alcune piazze per i trascorsi sulla sponda rivale e chi per un casus belli incancellabile dal tempo. Come Gasperini a Firenze, mai perdonato per le accuse di simulatore a Chiesa, o come Ancelotti, sempre beccato in casa della Viola tanto che in questa stagione, da allenatore del Napoli, dichiarò: «Dopo 90' di insulti, mi sono permesso di indicare a quei pochi ignoranti dietro alla mia panchina che era ora di andare a casa». Il tecnico emiliano viene trattato allo stesso modo anche quando fa visita alla Juve, peraltro sua ex squadra, dove gli rinfrescano il solito coro «un maiale non può allenare» e a cui nella passata stagione replicò: «Mi consolerò guardando in bacheca la Champions del 2003».

Chi paga, per vedere giocare. Chi viene pagato, e tanto, per giocare. Non c'è partita però tra chi si ritrova da solo contro uno stadio intero, contestato e insultato a prescindere. Sistematicamente. Altrettante volte fischi e disapprovazione arrivano anche dalla propria barricata. Al Torino, Mazzarri ha gli stessi punti di un anno fa, viaggia a -2 dal sesto posto ed è ai quarti di finale di Coppa Italia eppure i tifosi granata covano livore, lo ricoprono di fischi tutte le volte. Stessa sorte per Suso al Milan, relegato in un tunnel di prestazioni lontane anni luce dai tempi d'oro, tanto che perfino contro la Spal è stato insufficiente. Pioli nel dopo gara ha provato a scuoterlo: «Dimostri carattere, ho apprezzato la curva che si è dissociata dal malumore del resto dello stadio». San Siro ha il palato fino, ha ammirato fior di campioni e trofei luccicanti, per questo fa fatica a perdonare. Candreva ne sa qualcosa, il suo amore-odio con la tifoseria interista ha toccato l'apice due stagioni fa, durante una sfida con la Lazio, e al primo anello blu rispose con uno sputo, aggiungendo verso un tifoso: «Mortacci tua, mortacci». De Sciglio e Ranocchia si sono affidati a dei mental coach per cercare aiuto, finché il nerazzurro ammise: «Combatto i fischi grazie a un supporto psicologico, i pregiudizi negativi fanno male». È questa la spietata legge dell'amore condizionato, l'ammirazione del tifoso oggi è viscerale, domani svanisce in fretta, si traveste da loggionista spietato come un melomane in astinenza. Sempre Carlo Ancelotti, ai tempi del Parma, si presentò deciso in conferenza: «Vorrei dire al pubblico che non tirerò mai fuori dal campo un giocatore fischiato». Si riferiva a Crespo, bersagliato dal Tardini e diventato il primo calciatore a portarsi le mani verso le orecchie dopo un gol, in segno di provocazione.

«Oddio, è sordo? No, è solo incazzato».

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