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Gigante Carnera, il nostro Ali ​stregò l’Italia come l’America

Il 29 giugno data ricorrente nella sua vita: partì per la Francia per lavorare al circo, divenne campione e morì

Gigante Carnera, il nostro Ali  ​stregò l’Italia come l’America

Q uell’anno se ne andarono Totò e Carnera. L’ultima sintesi di un’Italia vera. Quella furba, ridicola, straripante, malinconica e ammiccante del principe Antonio de Curtis. E quella esondante, fiabesca, magica, ricca di amor di terra e morfologicamente improbabile di Primone Carnera. Era il 1967, un anno che ci portò via due eroi totali, indimenticabili, al di sopra della luna. E chi ci propose alla nascita? Fate voi: Max Allegri e Roberto Baggio, Valeria Marini e Carla Bruni. Giusto per restare tra sport e spettacolo. Cosa potremmo dire, 50 anni dopo, a quell’omone di due metri e 120 kg di peso, nato al numero 244 di una casa di Sequals, che nelle mani, nei piedi e nelle braccia raddoppiava le misure degli uomini del tempo? Tracimava nelle forme e inconsapevolmente scoprì l’elisir del lungo amore con il suo popolo. Caro Primo, da allora ad oggi non ti sei perso niente o quasi... Immaginate un Carnera ai nostri tempi: intrappolato dalla banalità di costume, adescato dallo show business tendente al becero e senza conceder la possibilità che leggenda sia tra misteri e realtà. Lo avrebbero distrutto prima di lasciarne traspirare la grandezza: non necessariamente dipinta nel fatto estetico. Invece Carnera è rimasto Carnera, quello che invocavano le mamme quando sgridavano i figli, dolcezza e brutalità miscelate perché i suoi cazzotti erano quelli che tiravano gli italiani affamati, che poi gli avversari siano stati veri o fasulli, specie ad inizio carriera, fa sempre tornare il conto a suo favore. Primo è stato un campione del mondo dei pesi massimi del pugilato: una categoria regina. Primo, ovvero il primo campione del mondo della boxe italiana: e quei match furono tutti veri, nessuna combine. A suo modo, è stato il nostro Muhammad Ali: genere unico, non più riproducibile. Cassius Clay era un fuoriclasse sul ring, ma la grandezza assoluta è lievitata nell’interpretazione della vita, nel modo di essere campione diverso dello sport. Carnera è stato un simbolo, seppur artigianalmente costruito. Scrissero che le sue gigantesche scarpe erano famose quanto quelle di Charlot. Era l’omone andato a cercarsi l’America, perché in Italia non avrebbe potuto sopravvivere. Il 29 giugno, giorno di Pietro e Paolo, è la data della sua storia: tutto cominciò e tutto finì. Il 29 giugno 1920, lasciò Sequals per la Francia, nel viaggio che ne avrebbe cambiato la vita. Imparò ad essere un gigante da circo. Era “Il Terribile Jean, il Terrore di Guadalajara”: si fingeva spagnolo o francese. Conobbe Paul Journèe, che gli insegnò la boxe e lo mise a bottega di una falegnameria. Il 29 giugno 1928 via dal circo e partì la carriera del pugile. Il 29 giugno 1933, nel newyorkese Garden Bowl di Long Island divenne campione del mondo: radunò 40mila spettatori, la metà italiani, che lo videro battere Jack Sharkey con un devastante montante destro, al 6°sesto round. Carnera fu un ipnotizzatore di pubblico, attirò folle, permise grandi incassi, alla fine raggranellò poco, derubato da manager rapaci. In America lo chiamarono “The Ambling Alp”, “l’Alpe che cammina lentamente”. Il business lo usò in ogni salsa. Hollywood lo accerchiò. Eccolo mentre si fa palpare i mostruosi bicipiti da Jean Harlow, la diva dai capelli di platino, o mentre solleva con il palmo della mano Frankie Genaro, campione del mondo dei pesi mosca. E ancora, sorridente Gargantua seduto a tavola davanti a una montagna di spaghetti e ad un fiasco di Chianti. Lo sfruttò il regime fascista, ma il tempo disse che Primo era il campione di tutti. Anche dei partigiani che cercarono di processarlo. Carnera finì 10 volte al tappeto quando perse il mondiale contro Max Baer, ma sempre si rialzò nonostante una frattura alla caviglia destra. Era un 14 giugno (1934), nulla che contasse come i suoi 29 giugno. L’ultimo quello decisivo: dopo una vita negli Stati Uniti, dopo aver conquistato fama e danari anche come lottatore, Primo decise per il ritorno in patria: sentì che il tempo stava per scadere. Quel 20 maggio 1967, il treno che lo riportò da Roma a Sequals fece soste in stazioni affollate, gente che voleva rivedere il Carnera e, invece, scoprì la controfigura di un gigante ormai provato dalla cirrosi epatica e dal diabete. Primo se ne andò il 29 giugno alle 10.47. Aveva 61 anni. Fece in tempo a rivedere Nino Benvenuti, in aprile diventato campione mondiale dei medi nel Madison Squadre Garden. Gli allungò i suoi occhi buoni e chiari, che sempre avevano sostenuto la dignità. Vide un erede del ring.

Ignaro che un altro Carnera ci sarebbe stato mai.

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