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Gigi Riva isolato anche nelle foto In alto a destra in tutte le squadre

Ha rappresentato l'Italia della sofferenza e della gioia Si è isolato nella Sardegna a cui ha dato gol e celebrità

Gigi Riva isolato anche nelle foto In alto a destra in tutte le squadre

Q uelli del '44 avevano la guerra attorno. La pace sarebbe arrivata da lì a poco e le campane sarebbero tornate a suonare la gioia, non più la paura. Luigi Riva è uno del '44 e oggi gli dobbiamo fare festa. Settant'anni sono nulla per un uomo che è storia del nostro football, settant'anni sono una fetta grande di vita per il Paese che scappava dalla bombe e dalla morte, cercando una luce sicura. Luigi Riva era e resta sempre Giggirriva , una parola sola che racchiude un'esistenza non soltanto sua ma di chi ha vissuto un'epoca felice e sofferta, di speranza e di voglie. In via San Primo, a Leggiuno, al civico 10, c'è ancora la casa di infanzia. Due metri più in là, il campetto dell'oratorio della chiesetta romanica di San Primo. Il presepe dei suoi primi gol. Tutto è rimasto come allora, così ha voluto Gigi e le sue parole, rare, vanno esaudite. Quando lavorava alla Slimpa, la ditta di ascensori che poi si è trasferita altrove, prendeva a calci le lattine d'olio lubrificante come fossero palloni da gioco. Ne faceva de cott e de crud , dicono i varesotti che rispettano il mito, come i sardi di Cagliari e dell'isola tutta.

Riva è un mito vero, perché i suoi settant'anni, silenziosi, solitari, ribadiscono un percorso sempre uguale, di margine, osservando il cortile calcistico affollato di bestie varie. Luigi Riva è tornato a essere un uomo solo, indifeso come lo era a Leggiuno e a Laveno, quando la guerra era ormai un ricordo con il suo sordo rumore di bombe lontane ma aveva lasciato memorie dovunque. L'Italia voleva risorgere, i favolosi anni Sessanta furono, finalmente, i favolosi anni di Gigi, emigrato sull'isola che lui rese famosa, regalando zucchero ai pastori e ai banditi.

Riva era l'atleta. Riva era la statua. Riva era l'uomo che faceva frullare il cuore e altro alle femmine di qualunque parte d'Italia. Riva era il campione che i grandi club volevano portarsi sul continente. Gigi Riva era nel football quello che Vittorio Gassmann era nel cinema e nel teatro, non così istrione ma fortissimo mattatore, sul campo, con il pallone scaricato a cento all'ora a spaccare reti, legni e anche il braccio di un bambino, Danilo Piroddi il martire del tempo.

Il suo sorriso era, forse cerca di essere ancora, quasi un ghigno, la mascella serrata, il nasale tono di voce, mai parole inutili, mai risse, mai esibizioni vanesie. Polpa, sostanza, come il suo modo di giocare a calcio, che era il modo in cui l'Italia veniva fuori dal periodo aspro, il boom ne avrebbe segnato la clamorosa ripresa, prima degli anni di nuovo difficili, non più di guerra ma di guerriglia, nemici vigliacchi, clandestini del crimine. Giovanni Brera per lui battezzò una immagine perfetta, rombo di tuono, come un'onda d'urto dopo la saetta, quello che incuteva timore e rispetto a chi gli si parasse davanti o a chi tentasse di fermarlo.

Qualcuno ci provò spaccandogli le gambe, i macellai del football vivono dovunque. L'ex ascensorista della Slimpa risalì sempre scale e piani. Oggi sta a Cagliari, eroe solitario e, infine, solo. Come lo era osservando le fotografie ufficiali della squadra di Scopigno, ma anche della Nazionale: Gigi, sempre, stava in piedi, con le braccia conserte, ultimo a destra, gli altri cambiavano posto, lui no, mai, era pronto a scattare un secondo dopo il flash, rubando il pallone all'arbitro e correndo verso la porta, come un bambino, come a calciare le lattine d'olio lubrificante. La sua infanzia, sofferta davvero, è rimasta nei suoi occhi e nella solitudine che oggi lo accompagna. Nessuno osi toccare il mito, nessuno osi paragonarlo ad altri pedatori, comunque illustri. Gigi Riva è stato e resta unico esemplare di un mondo a volte illusorio o costruito. I suoi settant'anni sono nostalgia di un'Italia smarrita ma fresca coscienza e buona sorte di averlo visto giocare a pallone, con una maglia sola, quella del Cagliari e quella azzurra della nazionale, uguali non nel colore ma nell'arte eroica di chi la indossava. Era Messico '70, era Germania '74, era l'Europeo del '68, era campionato, erano battaglie, vittorie, sconfitte. Era football e basta. Il ricordo è malinconia, sì, è vero ma Luigi Riva ci ha dato la certezza di credere ancora che qualcosa di bello stesse per accadere.

Il cielo d'autunno è grigio di pioggia, non ha fulmini.

Sento ancora, lontano, il rombo di tuono.

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