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Grosjean e i suoi fratelli. Il filo sottile che lega i miracolati dello sport

Da Malarchuk, hockeista sgozzato da un pattino a Sdiri, il lunghista infilzato da un giavellotto

Grosjean e i suoi fratelli. Il filo sottile che lega i miracolati dello sport

«Chiesi ai medici di mettermi dei punti per finire la partita. Erano bianchi come cadaveri, credevo fosse la mia fine». Il solo fatto che l'ex hockeista su ghiaccio Clint Malarchuk possa raccontare il suo miracolo, simboleggia quel confine labile tra disgrazia e lieto fine, dove la vita si aggrappa allo sportivo quando tutto sembra perduto. L'autobiografia dell'ex portiere canadese s'intitola Una questione di millimetri, non solo quelli legati a un tentato suicidio, ma anche quelli che lo salvarono nel marzo 89 durante una sfida di NHL a Buffalo, tra i Sabres e i St. Louis Blues. In uno scontro di gioco il pattino di Steve Tuttle gli recise la carotide e la vena giugulare esterna, con uno squarcio sul collo di quindici centimetri. Attimi terribili, alcuni compagni di squadra vomitarono sul campo dopo aver visto la scena e fu solo l'intervento dei medici a salvargli la vita. Nonostante trecento punti di sutura, Malarchuk rimase professionista fino al 97, s'iscrisse a quell'elenco di sopravvissuti che da domenica scorsa annovera anche Romain Grosjean e abbraccia gli sportivi portati in salvo dal fato. O da chissà chi.

Ne sa qualcosa il lunghista francese Salim Sdiri, centrato in pieno nel 2007 dal giavellotto lanciato dal finlandese Pitkameki al Golden Gala di Roma. Lesioni al fegato e ai reni, una penetrazione di dieci centimetri, ma non tale da pregiudicargli la carriera, culminata poi nel record nazionale outdoor, siglato due anni dopo e tuttora imbattuto. Invece disse basta, perché costretto, l'ex calciatore Lionello Manfredonia, accasciatosi al suolo in un Bologna-Roma del 1989 e colpito da due arresti cardiaci in pochi minuti: per quasi 48 ore restò in coma, in bilico tra la vita e la morte. Poi ci sono altre discipline costrette a vivere a tutta velocità, tra mille pericoli, come il motociclismo - la moto di Zarco diventata proiettile che sfiora Rossi a Zeltweg - o il ciclismo - scosso dagli ultimi incidenti di Evenepoel al Lombardia e Jakobsen in Polonia -, ma anche sugli sci, dove alcune cadute fanno ancora venire i brividi.

Tra le tante, rimane impresso il volo sulla Birds of Prey dell'americano Lanning, tradito da un dosso che lo catapultò sulla seconda rete di protezione (a un soffio dall'impatto con gli alberi) e quello ancora più spaventoso di Macartney, sbalzato a 140 all'ora nella discesa libera di Kitzbuhel. Perse il caschetto, scivolò fino al traguardo in preda alle convulsioni, ma nonostante il trauma cranico e il coma farmacologico tornò sulle piste per altri quattro anni. Nel 2016, a Jesolo, Carlotta Ferlito se la cavò con un collare ortopedico, rischiando grosso in un esercizio alla trave e atterrando sul collo, mentre due anni fa nel rugby fece scalpore il placcaggio di Vakatama sul giovane Ezeala, rimasto esanime e avvolto in tutta fretta dai teli bianchi per rianimarlo in diretta. Fu salvata in extremis anche la tuffatrice Monique Gladding, che nel 2011 urtò la piattaforma con la testa per poi svenire sul fondo della piscina. Restò sott'acqua per venti secondi, fu il marito Steve a lanciarsi per soccorrerla.

La riportò a galla, alla vita.

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