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I cento anni del vero jolly che faceva squadra da solo

Pietro Magni, l'unico al mondo ad avere giocato in tutti i ruoli. Scampò a Superga e un furto decise la sua vita

I cento anni del vero jolly che faceva squadra da solo

A cambiare strada al suo destino è stato un ladro di biciclette, l'anno in cui l'Italia di Meazza vinceva il primo mondiale. Pietro Magni, varesino di Bobbiate, paesino agricolo diventato con gli anni quartiere della città, veniva da una famiglia di costruttori edili e voleva diventare come Alfredo Binda, il suo idolo di ragazzino, che era di Cittiglio, poco lontano da casa sua. «Te la sei fatta rubare e un'altra non te la compro più» gli disse il papà Alfonso e a lui non restò, di malavoglia, che buttarsi sul pallone. Lasciò la maglia verde della Società Ciclistica Edera senza sapere che nella vita cambiare maglie sarebbe diventato il suo modo di essere.

Piero Magni era l'Ajax prima dell'Ajax, il calcio totale a sua insaputa, un ragazzo del Duemila finito per caso a giocare tra le due guerre. L'inventore del jolly, quello che sta dappertutto e completa la mano che vince perché è uno, nessuno e centomila. L'unico al mondo ad aver indossato tutte e undici le maglie, quando le maglie erano un ruolo non solo un numero. Di suo era mezz'ala sinistra, quasi centravanti, ma in serie A, con il Liguria, debutta con la numero 8, il 16 ottobre 1941. Perde con il Torino e si fa male ma fa niente perchè contro il Modena gli danno la 9 e lui vince e segna. Alla Juve, dove arriva in piena guerra, lo fanno giocare perlopiù con l'11 e con il 10, ma il primo anno, all'undicesima, per la prima e unica volta finisce in porta. La cosa è comica. Il portiere titolare Sentimenti IV è militare in artiglieria. C'è la guerra ma il permesso glielo danno sempre in tempo per raggiungere i compagni senza passare da Torino. Ma quella domenica, è il 13 dicembre 1942, trasferta in casa della Triestina, no. Avvisa i compagni con un telegramma, ma ormai sono partiti e la riserva Perucchetti è rimasto a casa. Così in porta va Piero. Scrivono, i giornali: «Magni in fretta e furia spese la mattinata nella ricerca di maglione, berretto, guanti e ginocchiere ». Finisce 1-1, le maglie sono già cinque. La 4 la mette contro il Modena, campionato '45-46, la 7 contro l'Inter e la 2 contro il Vicenza. Nell'ultimo anno da bianconero, nel suo girovagare di ruolo in ruolo, indossa la 6 contro il Bologna e la 3 nel derby contro il Torino. Per mettere l'ultima, la 5, devono passare tre anni e lui passare al Genoa. Completa l'album a fine campionato, quando si fa male il titolare Cattani. A Torino contro la Juventus: al suo amico Boniperti non fa toccare palla.

Il nipote Fiorenzo Magni, che ne custodisce la memoria e i cimeli, racconta che «quando, prima di partire per il Mundial di Spagna, chiesero a Bearzot se la rosa fosse a posto, Enzo rispose: mi manca solo uno come Magni. Per lo zio fu una gioia immensa». Quando esplose l'Olanda del calcio totale sorrise: «Finalmente l'hanno capita...»

Piero era un «uomo sanguigno, estroverso ma anche, come si dice oggi, stiloso. Prima di aprire un negozio di articoli sportivi a Torino con Carletto Parola aveva fatto il commesso in una boutique. Ci teneva ad essere sempre elegante». L'avvocato Agnelli diceva che Magni era così attento al look che durante l'intervallo si cambiava sempre i pantaloncini perché si sporcavano.

Aveva due grandi amici, uno era Giampiero Boniperti: «Vedevano sempre le partite insieme. Il giorno in cui la Juventus prende Del Piero, Boniperti lo dice subito allo zio. Che gli risponde scherzando: è sempre la Juventus «del Piero»... Due mesi dopo se ne andava. Scrivono tutti il 24 settembre ma non è vero: era il 23 luglio, non so perchè lo fanno morire nella data sbagliata». Altrove anche dopo.

L'altro amico per la pelle era Franco Ossola, varesino come lui, caduto a Superga. Quando il fratello si sposa il regalo di Piero è portare al banchetto di nozze tutti i giocatori della Juventus e del Grande Torino. La sposa di calcio non sa nulla «ma Castigliano e Rigamonti sono proprio bei ragazzi...». «Fu lui a dire alla mamma di Ossola che Franco non c'era più. La cosa incredibile è che lo zio doveva andare al Torino e Ossola alla Juve poi all'ultimo le due società si scambiarono i contratti. Diceva: su quell'aereo maledetto dovevo esserci io, non il Franco...»

Ha tanti meriti questo milite ignoto che ha cambiato il calcio moderno: fu lui a portare Gigi Riva a Legnano, l'inizio della sua carriera; è sua la foto che Marotta tiene da sempre sulla scrivania. Era amico di Coppi e di Tognazzi, di Fiorenzo Magni e di Herrera. Amava il calcio e la sua Licia, che veniva da Pavia: l'aveva conosciuta in spiaggia, durante una vacanza sul mar Ligure. Non avevano avuto figli, ma stavano bene così, fu lei a trovarlo a letto che sembrava addormentato. Aveva 74 anni. Era il Forrest Gump del calcio e ieri erano i suoi 100 anni. Peccato che Varese lo abbia dimenticato. Eppure i Magni erano 11..

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