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"I miei 50 anni a tutta velocità. Il ciclismo italiano? È finito..."

Mario Cipollini, il più grande velocista azzurro si racconta: "Salvo solo Nibali Ho pochi amici, sono un lupo solitario. E mi manca Pantani"

"I miei 50 anni a tutta velocità. Il ciclismo italiano? È finito..."

Cinquanta sfumature di grigio, anche se Mario Cipollini per anni ha avuto le meches. Erano i tempi adrenalinici e veloci di quando in gruppo era considerato da tutti il Re Leone del velocismo mondiale. Una forza della natura, in bicicletta ma anche giù di sella. Esuberante, mediatico e polemico come pochi, ma soprattutto vincente. Quasi duecento vittorie in carriera, un mondiale, una Sanremo, tre Gand-Wevelgem, 42 tappe al Giro d'Italia (record assoluto), dodici al Tour, tre alla Vuelta. Un palmares da capogiro, ma anche da capopopolo.

Cinquant'anni, chiudi gli occhi e vedi

«Mio padre Vivaldo. Dopo una giornata di consegne in giro con il camion, tornava e mi portava fuori ad allenarmi. Quella era l'età dei sogni».

E mamma Alfreda?

«Se Dio vuole sta bene. L'ho fatta tribolare parecchio. A soli sei anni con una bicicletta da donna scappavo verso Lucca. Quando qualche sua amica mi rintracciava andava a dirglielo e poi lei me le suonava. È arrivata anche a segarmi la bicicletta in due. Una volta ci è persino passata sopra con la sua macchina pur di rompermela. Ma non mi sono mai fatto intimorire: tosta lei, ma tosto anch'io».

C'è anche Tiziana, tua sorella

«Lei è protettiva, ci vogliamo bene, ma io sono un po' orso. Tendo a stare nella mia tana: da lupo solitario».

Più che tana harem

«Anche».

La corsa delle corse?

«La Sanremo. Il mio sogno».

Tanti anni per vincerla...

«È una corsa bastarda, ma affascinante come nessuna».

Sagan l'ha corsa, ammirata, dominata e persa

«Capita. È una corsa crudele. Moser e Saronni l'hanno sfiorata tante volte ma vinta una sola volta. Il sottoscritto anche. Moreno Argentin, che è stato uno dei più grandi cacciatori di classiche di tutti i tempi, non l'ha mai fatta sua. Peter è stato battuto soltanto da se stesso. Per eccesso di sicurezza. Se solo fosse partito un attimo dopo ».

Kwiatkowski?

«Grande corridore, forte e intelligente».

Il ciclismo italiano?

«Non c'è più. Siamo il quarto mondo. Abbiamo solo Vincenzo Nibali, l'unico vero talento di cui possiamo disporre. Per il resto sono solo comparse».

Anche Fabio Aru?

«Ci dia un segno. Siamo qui, lo aspettiamo».

Cesare, tuo fratello.

«È stato il primo ciclista della famiglia. Ha dieci anni più di me, ci siamo sempre visti poco, per via dei tanti impegni. Oggi grazie a Edoardo, suo figlio (ha 11 anni, ndr) ci siamo di molto riavvicinati. Edo è un piccolo talento».

Ci tiene allo zio?

«Da pazzi, ha un'autentica venerazione. Quando corre vuole assolutamente lo zio Mario e una Cipollini: come bicicletta».

Hai rapporti con Sabrina, la tua ex moglie?

«Non li ho più».

Colpa sua o colpa tua per la fine del vostro matrimonio?

«In questi casi si dice sempre che la colpa è di entrambi, io aggiungo che è colpa mia: avrei dovuto capire alcune cose prima».

Lucrezia e Rachele?

«La mia figlia grande e la mia figlia piccola. La prima ha 19 anni e frequenta il primo anno di Giurisprudenza a Bologna: tre esami e tre trenta. La seconda frequenta il liceo scientifico a Lucca. Sono due ragazze molto diverse ma anche molto brave e toste. Sono il mio orgoglio».

Amici d'infanzia?

«Nessuno. I miei amici del cuore sono Moreno, un uomo di Lucca che ha 77 anni. È il mio migliore amico, il mio confidente e anche un po' la figura del padre che non ho più. Ci conosciamo da oltre vent'anni: è una grande persona. E poi c'è Giuseppe (Napoleone, ndr): è il mio avvocato, ma soprattutto è un grande amico».

L'ex compagno che ti è rimasto fedele?

«Mario Scirea, oggi tecnico alla UAE Emirates di Beppe Saronni: con lui ho un rapporto speciale».

L'avversario con il quale vai maggiormente d'accordo?

«Io con chi è stato avversario non vado d'accordo».

Il campione con il quale ti senti più in sintonia?

«Francesco Moser».

Quale è la sconfitta che più ti brucia?

«Tutte le sconfitte bruciano, nessuna esclusa».

Un rimpianto?

«Non aver mai portato a conclusione il Tour de France: non ci ho capito proprio niente. Quando sono andato da spettatore a Parigi per applaudire il trionfo di Vincenzo Nibali, il campione italiano più sottovalutato della storia, ho compreso la grandezza del Tour e la grandezza dell'errore che ho commesso».

Chi è oggi Mario Cipollini?

«Un uomo che è in pace con se stesso».

Chi ti manca?

«Marco Pantani. Ho sperato di portarlo in squadra con me, ma poi per strani giochi d'invidia, la cosa non è andata in porto».

La prossima sfida che ti piacerebbe vincere?

«Ne ho due: con le Cipollini, le mie biciclette, mi piacerebbe un giorno equipaggiare un team di World Tour. E poi ho da sistemare una cosa con La Gazzetta dello Sport.

È una sfida in tribunale: e la voglio vincere».

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