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"Io ultimo testimone del calcio vero"

Scrisse ricordando l'amico Piola: "Mi mandava sempre in gol"

Leggenda. Si fa presto a dire leggenda, quando si parla o si scrive di un calciatore. Poi ci tocca spiegare che cosa sia mai stata questa leggenda. Beh, Silvio Piola era il centravanti, colui il quale sta proprio davanti e al centro dell'attacco, un formidabile calciatore, un tipo che oggi sarebbe ancora e sempre il numero 1, in questo calcio così diverso da quello che lui praticò e frequentò prima e dopo la guerra.

Vi racconto di Piola perché lui era vercellese e io novarese, dunque vicini di terra anche se distanti come caratteri. Lui era un uomo di nobiltà schiva, sensibile, discreto, di rare parole. Esordii in nazionale e lui era il capitano, a Vienna contro l'Austria. Esordii nella Juventus, contro il Milan, e lui era il nostro artista. Dunque mi legano a Silvio ricordi unici, personalissimi anche se non esistono aneddoti particolari proprio perché Piola aveva un carattere tipico della gente vercellese.

Giocava portando in testa la retina, per tenersi i capelli che erano lisci, fitti, nerissimi. Allora si usava quel tipo di copricapo, quasi invisibile.

Piola era fortissimo di destro e di sinistro, era abile anche nel gioco di testa e i numeri ribadiscono quello che vi sto dicendo: il più grande cannoniere di tutti i tempi. Non è che il nostro calcio ne abbia sfornati tanti, direi Meazza, poi Silvio e quindi il sottoscritto.

Era di fisico ossuto, quasi appuntito, faceva male a chi tentava di picchiarlo, era capace di rispondere con una manata in faccia. Qualcuno lo chiamava becasin, cioè beccaccino per il suo naso lungo. Ma io posso anche dire che Silvio era un grandissimo cacciatore, andavamo a sparare insieme a Venaria, a Barengo, lui era formidabile con la doppietta, aveva fiuto, naso, occhio, sapeva e intuiva. Poi diventò anche pescatore e andava in barca sul Sesia, non avendo più voglia di sparare ai beccaccini e ai fagiani.

Piola era una leggenda per i suoi gol, non soltanto quello segnato con la mano. Era una leggenda perché a quarant'anni giocava ancora e ancora faceva gol. Era una leggenda perché quando ero ragazzino nella Juventus lui mi lanciava in profondità, mi faceva correre, io ero veloce e già pratico del gol. Poi tornavo a centrocampo e lui mi diceva: «Verrai vecchio anche tu un giorno e sarai costretto ad arretrare e a lanciare i ragazzotti».

Chi lo affrontava si faceva il segno della croce, perché sapeva benissimo con chi aveva a che fare in campo, meglio rinunciare a qualsiasi tentativo di molestarlo, fargli del male. Come era riservato fuori dal campo, così sapeva scaricare tutto il suo temperamento durante la partita. Mi hanno raccontato ed ho letto da qualche parte che al suo esordio fu minacciato da Pasolini che era un duro del Brescia. Gli disse, il Pasolini, che gli avrebbe spezzato una gamba soltanto se avesse osato entrare in area di rigore. Ardissone era il capitano della Prove, informato dal Silvio, rispedì il messaggio: «Sarò io a spezzarti le gambe se avrai paura di andare in area».

Adesso incomincio davvero a ripensare ad un'epoca che si sta concludendo, Nordahl, Muccinelli, Piola. Il calcio eroico, delle leggende vere, non inventate dalla televisione o dal giornalismo, se ne è ormai andato, io resto testimone di quegli anni, di quell'atmosfera che è impossibile riproporre fedelmente. Ma soltanto con il cuore, con la nostalgia, Silvio Piola era questo.

Ho perso un altro pezzo della mia vita, un compagno di caccia, un meraviglioso capitano della nazionale azzurra e della Juventus. Vi ho detto che era una leggenda e da oggi lo è ancora di più.

Non soltanto per me.

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