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Italia, finiti i miracoli. Il Brasile fa ancora male con un paio di aiutini

Successo meritato dei padroni di casa, ma due decisioni arbitrali indirizzano la partita

Italia, finiti i miracoli. Il Brasile fa ancora male con un paio di aiutini

nostro inviato a Rio de Janeiro

È che o noi o loro. È che abbiamo trascorso giorni a guardare il passato olimpico della nostra nazionale e pensavamo che per diritto divino, dio del volley s'intende, spettasse all'Italia la medaglia d'oro riparatrice di due finali perse sul più bello. E' che ci eravamo messi a scorrere annuari e riassunti e statistiche e numeri e quei due argenti di Atlanta 1996 e Atene erano sempre lì a farci male con i ricordi. Beffati dall'Olanda a nostra portata ai Giochi a Stelle e strisce. Beffati dal Brasile genitore di questo a quelli ellenici e forse non così alla portata come quello visto ieri qui al Maracanazinho. È che non avevamo fatto caso a un dettaglio non proprio trascurabile: che anche i verdeoro avevano i loro conti grandi meno grandi dei nostri - da regolare con il passato olimpico. Perché se ad Atene l'oro era arrivato, stessa medaglia gli era sfuggita per due volte e di fila: a Pechino, sconfitti dagli Stati uniti. A Londra, battuti dalla Russia.

È che o noi o loro e però fa male. Perché il modo pazzo e grintoso con cui venerdì avevano raddrizzato la sfida nata storta con gli Stati Uniti aveva caricato la vigilia di questa finale di extra valori ed extra speranze che se solo avessimo pensato alla vigilia di questa spedizione olimpica non ci saremmo permessi mai di nutrire così grasse. E infatti Simone Buti, con la faccia moscia di chi soffre, lo dice, lo sottolinea, «dobbiamo essere fieri del percorso fatto, di dove siamo arrivati».

Tre set a zero, per un risultato più tondo, più fastidioso e che fa più male della altre volte. Tre set a zero (22-25, 26-28, 24-26) che parlano di superiorità altrui, di errori nostri, in ricezione, in battuta, di giornata no. Non a caso ct Chicco Blengini, l'antiguru capace di prendere una nazionale uomini diventata litigiosa come quella femminile e rimettere insieme i cocci e anzi, renderla bella come non si pensava fosse, alla sua maniera nei giorni scorsi aveva messo le mani avanti, cercando quasi di esorcizzare il passato. «In fondo» aveva detto «il fatto di arrivare a questa finale sapendo che l'Italia ha perso due finali olimpiche, ecco, questo potrebbe essere uno sprone in più a far bene».

Non lo è stato. Più forti gli altri. L'hanno ammesso tutti. Però tutti hanno anche puntato il dito su un paio di momenti che non hanno stravolto la sfida, ma certamente condizionato. Challenge nel secondo e terzo set, challenge sul 21-20 per l'Italia che da un invitante e benaugurante 22-20 è diventato 21-21. Una decisione arbitrale su un dito non visto che devia la palla e che ha lasciato l'amaro in bocca ma non può far dimenticare che poi l'Italia ha sprecato due palle set, di cui una su battuta, e non sono cose belle. Quanto al secondo challenge negato, terzo set come gli altri giocato punto su punto, errore su errore fino al leggero cambio di marcia finale dei brasileri, si era sul 17-15 per gli azzurri, mano a rete di Juantorena su ostruzione di Wallace, ma niente. Poteva essere il 18-15 dell'ultimo disperato tentativo di raddrizzare la partita, si è trasformato solo in un'amarezza in più. Sarà lo stesso ct Blengini, a caldo, a farlo notare «peró no, peró alla fine hanno vinto con merito». Vero questo, ma vero anche che la delusione dei ragazzi azzurri non riuscirà a prescindere da questo fattaccio di gioco. «Avevamo l'occasione della vita e l'abbiamo sprecata» dirà infatti Juantorena mentre si asciuga le lacrime. «E comunque l'ha visto il mondo che nel secondo set la palla è stata toccata... Poteva cambiare la partita». Lo dirà capitan Birarelli, «ci è mancata fortuna, a volte è un attimo che ti cambia la partita, ecco, quell'attimo ce l'hanno tolto». Forse, allora, per stemperare polemiche e addolcire dolori, forse meglio affidarsi alle parole di zar Zaytsev quando dice «però, alla fine, dopo la delusione, la cosa importante è sapere di essere entrati nei cuori degli italiani e che questo spingerà altri giovani a giocare».

O a quelle proprio di un giovane come Giannelli, magari ieri non perfetto, quando promette: «Ve l'assicuro, lavorerò e lotterò per portare questo oro in Italia».

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