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Juary, intervento riuscito al cuore: "Grazie a Dio"

Il ringraziamento social dell'ex icona del calcio italiano degli anni '80 fa il giro del web. Perché Juary è (ancora) così amato dagli sportivi

Juary, intervento riuscito al cuore: "Grazie a Dio"

Jorge Juary dos Santos Filho, meglio noto solo come Juary, è stato operato al cuore in Brasile. L’intervento è andato bene e l’ex attaccante dell’Avellino, dell’Inter e della Cremonese ha ringraziato tutti sui social.

Juary, che a giugno scorso ha compiuto sessant'anni, è un’autentica icona inossidabile nazionalpopolare. La notizia relativa al fatto che l’intervento chirurgico cui è stato sottoposto sia andato bene ha fatto tirare un sospiro di sollievo non solo ai suoi amici e familiari ma anche ai tantissimi tifosi, grandi e piccoli, che lo hanno amato per aver visto direttamente o perché affascinati dai racconti dei suoi gol e della sua pittoresca esultanza attorno alla bandiera. Come riporta Il Corriere della Sera, Juary ha voluto ringraziare tutti con un post affidato ai social. S’è fatto ritrarre in una foto col chirurgo che lo ha operato e ha scritto: “Grazie a Dio, grazie amici, grazie al dottor Rouberto, grazie a mia moglie per tutto. Sono già a casa”.

La notizia ha subito fatto il giro del web e dal Sudamerica, in un attimo, è rimbalzata fin sotto le falde del monte Partenio. Ad Avellino, Juary ha lasciato un segno indelebile. Fu lui tra i simboli di una squadra che seppe mettere in riga i campioni della Serie A, imponendo quella che nei primissimi anni ’80 divenne la “legge del Partenio”. In Irpinia era dura per tutti fare punti. Ma l’epopea del calciatore brasiliano non è un semplice, per quanto affascinante, racconto confinato allo sport. Juary e i suoi compagni di squadra regalarono, con le loro imprese sportive fatte di grinta e di caparbietà, un sorriso a una città e una provincia che era stata appena sconquassata dal tremendo terremoto del 23 novembre del 1980. E lui, piccolo svelto e agile, incarnò proprio le fattezze di un Davide abbastanza irriverente per abbattere i draghi del calcio italiano. A ogni gol, girando come un forsennato attorno alla bandierina del corner, ballando a ritmo di samba, portava un po’ di felicità a un popolo ferito che ancora piangeva il sanguinoso tributo di sangue e distruzione che s’era trovato a dover pagare. Ebbe anche il tempo, Juary, di incidere una canzone dai ritmi carioca: “Sarà così”.

Dall’Irpinia, Juary andò a Milano. Sponda Inter. Ma non sfondò. Poi Ascoli, di nuovo in provincia. E Cremona. Quindi, nell’85 lasciò l’Italia e si accasò ai Dragoes del Porto. Coi quali ebbe il tempo di vincere una Coppa dei Campioni e lui – di nuovo incarnatosi in Davide al cospetto del Golia di turno – segnò il gol decisivo in finale, al Prater di Vienna, al Bayern Monaco strafavorito di Matthaus e Brehme. Anche allora, Juary raggiante di gioia, puntò la bandierina. Ma quella volta non ballò: si inginocchiò a mani giunte in direzione dei tifosi e pregò, mentre Futre, il genio luminoso di quella squadra che poi sarà triste anni dopo alla Reggiana, lo abbracciava in scivolata.

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