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"Juve, per tre anni ho pensato a batterti. Adesso voglio solo vincere con te"

Stile bianconero e Sarrismo da Treccani. Un'ora per presentare il nuovo tecnico. "Nessuno mi aveva mai corteggiato come loro"

"Juve, per tre anni ho pensato a batterti. Adesso voglio solo vincere con te"

nostro inviato a Torino

L'aereo privato e la sala Gianni e Umberto Agnelli, prima di lui concessa solo a Cristiano Ronaldo. Un trattamento da marziano della panchina. Perché c'è una Juventus prima e dopo CR7, perché c'è una Signora prima e dopo Maurizio Sarri. Nulla sarà come prima. Trattasi di rivoluzioni. Se quella del cinque volte pallone d'oro è stata assordante come un'esplosione, quella dell'allenatore è silenziosa come l'indifferenza. I tifosi restano alla larga dall'Allianz Stadium, ad Allegri era andata peggio. «Ovunque sono stato accolto con scetticismo», non si sorprende Sarri, se stesso fino in fondo alla sua prima uscita bianconera. «Non è una scelta rivoluzionaria, ma il coronamento di una lunga carriera», apre così un'ora e due minuti sull'unirsi tra due visioni che fino a ieri sembravano in contraddizione. Lo stile Juve che ha fatto la storia e il Sarrismo entrato nella Treccani. La sfida è tutta qui: procedere con una fusione ad alto rischio che sarebbe un fallimento in ogni caso se non portasse alla vittoria. Fabio Paratici, seduto come un anno fa alla destra del marziano di turno, lo dice: «Conta sempre vincere». Per poi spiegare l'addio ad Allegri: «L'alchimia si stava esaurendo. Non è questione di gioco».

Sarà, ma chi arriva porta proprio un calcio diverso. Voluto fortemente. «È stata la prima scelta, sempre», dice Paratici. «Mai visto una società così determinata nel prendere un allenatore e fare anche un sacrificio per venire a parlarti», rivela Sarri. Forse indiretta conferma del viaggio di Agnelli e Nedved a Londra a casa Sarri. L'ex tecnico del Chelsea della società dice: «Mi ha colpito l'unità». Poi gli basta una cena con Paratici e Nedved, seguita dal pranzo ieri con Agnelli, per dire «che ho avuto l'impressione di stare con amici: non so cosa sia lo stile Juve, io non ho visto etichette». E il Sarrismo? «Io sono questo. Una persona diretta, che ha bisogno di sentirsi dire quello che pensano e dire quello che pensa». E si pensa subito al passato, al Napoli. A De Laurentiis che provoca dice grazie. A chi gli dà del traditore o dell'attore replica: «Se ho un avversario che voglio sconfiggere in tutti i modi lo posso odiare, ma anche apprezzare. Io ho rispettato tutti. Ho dato tutto me stesso». Sarri non cerca di ingraziarsi il popolo bianconero. Si taglia solo un dito medio: «Una reazione sbagliata». Ai napoletani ricorda il «gesto di rispetto estremo, con la mia condizione familiare, andando un anno all'estero». Già, perché Sarri torna in Italia anche per stare vicino ai suoi genitori, un valore aggiunto. Ma è pronto a tutto: «Al San Paolo? Se mi applaudono è una manifestazione d'amore, se mi fischiano è una manifestazione d'amore». Saranno fischi. La differenza tra Napoli e Torino è sottile ma sostanziale. «Prima mi alzavo al mattino per studiare come sconfiggere la Juve. Ora pensando a come vincere le partite». A suo modo. Convinto che si possa farlo anche giocando bene «divertendosi in campo» anche dove «l'unica cosa che conta è vincere». Ecco la sfida della fusione. Lo scudetto «è una responsabilità, l'eredità di Allegri pesante», la Champions «un sogno da inseguire con determinazione, ma dal coefficiente di difficoltà mostruoso».

Però c'è Cristiano Ronaldo. Volerà nel resort di lusso in Grecia per parlargli. Come parlerà con altri due-tre, per definizione sarriana «gli incidenti». Il concetto di squadra vacilla, chissà cosa hanno pensato i difensori, come sembra contraddirsi quando spiega che l'organizzazione si fermerà a 30 metri dalla porta avversaria «per poi liberare il talento». E i movimenti mandati a memoria dal suo Napoli che facevano girare la testa a tutti? Nel fiume di parole si capisce perché la Juventus ha voluto Sarri dopo Allegri: «A CR7 spero di riuscire a fargli fare qualche altro record». Lui allena per migliorare i giocatori, anche il più forte del mondo. È solo a questo punto che la giacca e la cravatta d'ordinanza sembrano stargli strette. Perché si parla di campo e lui ci va in tuta. «Ne parleremo. L'importante è che a questa età non mi mandino nudo». Non sarebbe da Signora. Che dopo aver fatto la rivoluzione societaria dei quarantenni dieci mesi fa, si affida a un sessantenne per continuare a vincere in Italia e per spezzare l'ossessione Champions. Una Signora in tuta sul tetto d'Europa: cose di due mondi opposti.

Fusione o fallimento.

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