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L’intervista Leonardo Pettinari

In Italia chi fa agonismo è tutelato ampiamente

L’intervista Leonardo Pettinari

Primi di febbraio, Leonardo Pettinari, 25enne attaccante dell’Atalanta passato in prestito al Varese nel mercato di gennaio, dopo 5 partite giocate con i lombardi, durante gli allenamenti accusa episodi di tachicardia.
Signor Pettinari, si sente un miracolato?
«Sì e anche fortunato per essere riuscito a scoprire il problema e grazie all’Atalanta e al Varese siamo andati fino in fondo».
Ci spiegha cosa le è successo?
«La tachicardia mi ha preso un paio di volte in allenamento e allora i sanitari mi hanno fermato sottoponendomi a una serie infinita di esami. Sono stato anche dal prof. Carù che mi ha ritenuto idoneo ma, appena ritornato in campo al secondo giorno di allenamento, la tachicardia è ripresa e da allora è stop, al punto che sono ancora in attesa di una diagnosi certa e definitiva».
Ma le avranno pur detto cosa è stato trovato nel suo cuore ballerino?
«Con la risonanza magnetica cardiaca e con lo studio elettrofisiologico del cuore è stato riscontrato sul ventricolo sinistro uno strato di tessuto fibroso, grasso insomma, che non si sa da dove sia venuto».
Quale è stata la sua prima reazione a questa brutta tegola?
«Ero scosso, col morale sotto i tacchi, il mondo mi era caduto addosso, io che amo il calcio e vivo di calcio. Poi, grazie anche ai tanti che mi sono stati vicino, mi sono reso conto che la vita è fatta anche d’altro, che le cose si devono affrontare con senso di responsabilità, insomma bisogna prenderla con filosofia, ricordando però che la vita è una sola».
Pensa di poter tornare a giocare? E quale sarà il suo futuro?
«Farò di tutto per tornare, sempre però nei limiti. Ora non penso al dopo, sono aperto, la vita va comunque avanti».
Adesso che cure sta facendo?
«Proprio niente, finché non viene stesa una diagnosi precisa. Faccio lunghe camminate con la mia fidanzata Giusy e, visto che a giugno ci sposeremo, ho tante cose da fare. E mi auguro che come regalo di nozze mi arrivi l’idoneità agonistica».
Cosa ha provato per Morosini?
«Anche a me si è spezzato il cuore, non volevo crederci e ho capito quello che ho rischiato».
Società e compagni le sono stati vicino?
«Tantissimo. Io sono un esempio e sono stato seguito nel migliore dei modi dallo staff varesino col responsabile, il dottor Giulio Clerici, che è di una competenza mostruosa. Ma anche i suoi collaboratori Mentoli e Faggetti e il responsabile sanitario dell’Atalanta Lucio Genesio non mi hanno mollato un attimo: in Italia chi pratica attività agonistica è ampiamente tutelato. Mi sono messo a piangere quando ho visto i miei compagni che contro la Reggina portavano sulla maglietta la scritta “Leo ti aspettiamo”.

E io li guardo in tv in poltrona con la sciarpa del Varese al collo e a loro ho chiesto di portarmi nei playoff».

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