Rio 2016

L'anno orribile di zar Putin. Niente Rio per l'atletica russa

Dopo lo stop di due anni alla Sharapova e gli hooligan in Francia, la Iaaf blocca Isinbayeva & C. E il nuoto...

L'anno orribile di zar Putin. Niente Rio per l'atletica russa

La terza guerra mondiale non scoppierà per qualche esagerazione cinese, per qualche bomba del simpatico dittatore nordcoreano, per qualche eccesso dell'istrionico Trump. La terza guerra mondiale scoppierà per sport. Il che non vuol dire per gioco o al bar ma violenza negli stadi e doping. Perché la Russia e il suo zar judoka, Vladimir Putin, si sentono accerchiati. Prima l'eroina di tutte le russie Maria Sharapova squalificata due anni per positività al meldonium. Poi i tifosi russi a Euro 2016 che oltre a menare gli hoolingans inglesi dimostrano di averli superati. Da qui il bilancio di molti quasi morti e feriti e arresti e la scoperta che a capo di questi delinquenti c'è il leader di estrema destra Alexander Shprygin, persona in qualche modo vicina a Putin. E ora la Iaaf, la federatletica mondo, che ha deciso di non riammettere l'atletica russa, sospesa in novembre per il doping di Stato scoperchiato dalla commissione indipendente dell'agenzia mondiale antidoping (Wada) diretta da Dick Pound. Ergo, niente Rio. Niente olimpiadi. Decisione, va detto, che il presidente Iaaf Sebastian Coe e il consiglio mondiale hanno preso dopo aver esaminato i risultati dell'indagine condotta dalla task force (nel pool di esperti anche l'italiana Anna Riccardi) da cui è emerso che molti funzionari, atleti e allenatori violerebbero ancora i regolamenti Wada.

Lo zar judoka si sente accerchiato anche perché il verdetto Iaaf arriva nello stesso giorno in cui la Federnuoto mondo (Fina) prende atto delle rivelazioni della Frankfurter Allgemeine Zeitung, secondo cui due funzionari dell'antidoping russo, Grigory Rodchenkov, ex direttore del laboratorio di Mosca, e Nikita Kamaev, ex direttore dell'agenzia antidoping, si erano offerti di chiudere un occhio sui controlli in cambio di 3 milioni di rubli (70mila euro circa). «Prendiamo molto sul serio queste accuse e invitiamo chiunque abbia prove rilevanti a portarcele» ha detto la Fina.

Vien da sé che zar Putin, reduce com'è dai Giochi di Sochi e in apprensione per i mondiali di calcio di cui sarà padrone di casa nel 2018, non stia prendendo bene né i violenti in terra transalpina rimpatriati e arrestati dalla Gendarmerie, né il monito ricevuto e condiviso con gli inglesi di venire esclusi dalla rassegna francese in caso di altri scontri, né le ultime evoluzioni della vicenda doping nell'atletica.

Su Euro2016 Mosca, subito dopo gli incidenti aveva fatto sapere a Parigi che «l'istigazione di sentimenti anti russi» può danneggiare le relazioni fra i due Paesi. E ieri, Putin stesso, parlando dal forum economico di San Pietroburgo, ha fatto notare che «si presta meno attenzione al calcio che agli scontri ed è molto triste» e che «la responsabilità deve essere personale e serve uguale trattamento per tutti per cui non capisco come 200 tifosi russi abbiano potuto picchiare migliaia di inglesi...». Sulla decisione Iaaf ha invece contestato l'accusa di doping di Stato perché «il governo non può essere coinvolto» e perché «abbiamo lottato e continueremo a farlo contro il doping». Da qui la frase secca del suo ministro dello sport, Vitaly Mutko: «Reagiremo». E già si parla di un ricorso al Tas. Questo mentre l'atleta simbolo dell'atletica russa, la primatista mondiale dell'asta e due volte oro olimpico, Elena Isinbayeva, minaccia: «Non rimarrò in silenzio, mi appellerò alla corte per i diritti umani».

In ballo qualche diritto in effetti c'è. Quello degli atleti russi puliti che non vanno penalizzati. E il Cio, apparentemente, sembra aver preso a cuore la questione. Ecco perché, nonostante ancora ieri sera Coe e la Iaaf ribadissero «spetta a noi l'ultima parola», monta l'attesa per il vertice Cio di martedì a Losanna in cui si tenterà di trovare una soluzione. Per esempio, ammettere solo i russi mai dopati. E farli però gareggiare nella squadra dei senza bandiera. In ballo c'è molto: non tanto i diritti sacrosanti di questi atleti, quanto gli egoistici interessi economici di una olimpiade castrata dall'assenza dei russi.

E magari anche il desiderio di evitare la terza guerra mondiale.

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