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L'azzurro è soltanto amarcord. 50 anni fa sul tetto d'Europa

I gol di Riva e Anastasi nella finale bis con la Jugoslavia regalarono l'unico titolo continentale della nostra storia

L'azzurro è soltanto amarcord. 50 anni fa sul tetto d'Europa

Mariano Rumor era stato incaricato dal presidente Saragat di formare il nuovo governo. Ferruccio Valcareggi aveva preso in mano la Nazionale azzurra reduce dai disastri al Mondiale inglese. Erano i giorni di tarda primavera, a Roma era piovuto, quel pomeriggio di giugno ma la folla aveva riempito lo stadio Olimpico per la finale europea contro la Jugoslavia. In verità contro la squadra di Acimovic e Dzajic avevamo già giocato, due giorni prima ma era finita in pareggio, 1 a 1, anche dopo i supplementari. Il regolamento del tempo non prevedeva ancora i calci di rigore per l'assegnazione della vittoria, si ricorse alla partita bis. Rajko Mitic cambiò un solo uomo (Petkovic) su undici della prima finale, Valcareggi mischiò le carte, cinque nuovi azzurri in campo, su tutti Riva al posto di Prati, a completare l'attacco, Anastasi e Mazzola.

L'Europeo in casa nostra era stata un'idea meravigliosa e astuta di Artemio Franchi, presidente federale. Aveva convinto il sodale svizzero, Gustav Wiederkeher, a trasferire la fase finale dei giochi nel nostro Paese. Altre figure potenti del calcio italiano, lavorarono perché tutto procedesse per la direzione giusta. Così, in semifinale contro l'Unione Sovietica, l'arbitro tedesco Kurt Tschenscher, dopo i 90 minuti e i tempi supplementari, convocò, per il sorteggio decisivo, i due capitani non a centrocampo ma nello spogliatoio dello stadio San Paolo di Napoli. Qualsiasi cattivo pensiero è puramente casuale, il lancio della monetina, al quale presenziò Italo Allodi, resta ancora oggi, cinquant'anni dopo, un mistero della fede e dello sport. Il Sessantotto fu un anno di grazia e di mille cose strane, Onassis e la vedova Kennedy, nel senso di Jacqueline, andarono a nozze, Martin Luther King venne assassinato a Memphis, Alexander Dubcek assunse la guida del Partito Comunista cecoslovacco e avviò la primavera di Praga, il Manchester di George Best vinse la coppa dei Campioni, dopo i supplementari, sul Benfica di Eusebio.

L'Italia del pallone viaggiava ancora a zigzag ma l'esperienza di Uccio Valcareggi fu utile a rimettere insieme un gruppo di calciatori che lo portarono poi al secondo posto nel Mondiale in Messico, di fronte a Pelé e al Brasile. L'arte politica e diplomatica di Franchi seppe tenere a freno le polemiche, la Lega nelle mani di Stacchi non viveva le liti condominiali contemporanee.

La nostra avversaria, la Jugoslavia, si manifestò come un insieme di artisti e non una squadra vera, compatta, esaltata dalla qualità di Dragan Dzajic.

Uno spagnolo, basco di Bilbao, venne designato per la finale: Josè Maria Ortiz de Mendebil Monasterio, già conosciuto dai tifosi italiani, per parte interista, per avere diretto lo spareggio della coppa Intercontinentale a Madrid, tra i nerazzurri e l'Independiente e la semifinale di coppa dei Campioni dell'Inter a San Siro contro il Liverpool, con il famoso gol di Peirò, contestato dagli inglesi.

Vincemmo la finale e conquistammo il primo e unico titolo europeo, per merito e sovrabbondanza di occasioni. Riva e Anastasi fecero il necessario con la coda del gol in fuorigioco del fenomeno del Cagliari. Ovviamente il basco Ortiz non poteva ricorrere al Var o all'ausilio del guardalinee di riferimento, palla al centro e 1 a 0 per noi, tripudio tricolore e successivo delirio al raddoppio feroce e di grande bellezza acrobatica di Petruzzu Anastasi.

La notte romana fu lunga, Facchetti telefonò da un ristorante di via Veneto, alla sua famiglia di Cassano. Non c'era ancora la teleselezione ma la centralinista informò il nostro capitano che la telefonata sarebbe stata a carico della Sip. Per i contemporanei sarebbe Telecom che, ovviamente, dopo la recente ritirata di Russia, non prenderebbe a carico nessuna chiamata azzurra.

Meglio vivere di ricordi.

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