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L'umiltà di Valentino e la sana arroganza di Seb

L'umiltà di Valentino e la sana arroganza di Seb

Sotto il casco dei piloti c'è la verità. Solo che presi dal tifo e attenti come siamo alle classifiche, alle livree di moto e monoposto, ai colori, al giallo e blu di Valentino, al rosso della Ferrari di Sebastian Vettel, alla fine non facciamo mai lo sforzo di alzare idealmente le visiere di quei caschi e guardarci con attenzione dentro. Ne resteremmo sorpresi. I loro occhi, ad esempio. Gli occhi tondi da eterno cerbiatto del Vale Rossi o quelli chiari e gelidi e in fondo ancora un po' bambini del ferrarista. Occhi che dopo la gara, man mano che l'adrenalina li abbandona, si svuotano delle venature rosse che li avevano fatti assomigliare a quelli dei guerrieri pronti a tutto per vincere la propria battaglia, riempiendosi invece di piccole grandi incertezze o di incomprensibili verità.

Valentino, ad esempio. La cosa più bella andata in scena ieri ad Assen non è stata la sua decima vittoria nella Scala motoristica olandese e

neppure il ritorno al successo dopo oltre un anno o la classifica mondiale raddrizzata grazie al proprio trionfo e alla contemporanea caduta di Viñales. La cosa più bella è ciò che è rimasto racchiuso nelle sue parole, quelle forse sfuggite a molti perché apparentemente più banali. Quando ha detto: «Intanto ho vinto una gara anche quest'anno».

È un Valentino umile quello nascosto sotto la visiera del casco. Perché quella frase buttata lì in mezzo a tante altre parole, le solite che condiscono le risposte che vogliamo sentire noi cronisti e noi tifosi, svela i dubbi, forse anche i tormenti di un uomo che per mesi ha corso a trecento all'ora domandandosi se sarebbe mai riuscito a vincere ancora. Sembra incredibile, pensando a un fenomeno come lui. Ma gli occhi sotto il casco non mentono.

Così come non mentono quelli di Seb Vettel. Quando a Baku, dopo aver preso a ruotate Lewis Hamilton perché reo di avergli fatto uno sgarbo, si è presentato davanti ai giornalisti che sembrava sceso da Marte. Anche in questo caso erano gli occhi a non mentire. Ha detto: «Non capisco perché abbiano punito me e non lui?». In questo caso non erano però occhi umili. Ma arroganti. L'arroganza sana, innata, inevitabile del campione a cui è stato fatto uno sgarbo. E in fondo è un attimo andare ad un altro campione e un altro sgarbo subito: Malesia, neppure due anni fa, il calcio di Vale Rossi a Marquez.

Più bello questo Vale.

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