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L'urlo della Pellegrini divina e infinita: "Non ci posso credere"

Batte la regina Ledecky, centra l'oro dei suoi 200 e annuncia: «Non mi vedrete più in questa gara»

L'urlo della Pellegrini divina e infinita: "Non ci posso credere"

Adesso e solo adesso è Divina, Fede. Un aggettivo e un nome che guardano al Cielo come lei ha guardato verso quell'immenso schermo dei tempi posto in alto cinquanta metri più in là. L'urlo della Duna Arena, la mano che s'allunga, la toccata, il crono che si ferma, la testa che riemerge e si volta mentre il cuore fa a pugni con la fatica e la tensione. Poi, un attimo dopo, «oddio...». E il cuore inizia solo a fare a pugni con l'incredulità e l'emozione. Oro mondiale. Oro come il primo di Roma, otto anni fa, aveva 21 anni, oro come il secondo di Shanghai, nel 2011, aveva 23 anni. Ne ha 29, Fede, oggi.

«Oddio». Adesso e solo adesso è Divina, Fede. Perché è quando neppure si hanno più la forza e il coraggio per scommettere su se stessi che dopo la vittoria si diventa speciali. Fede lo è da ieri, dalle 17 e 35 di un pomeriggio ungherese, quando «neppure io avrei mai scommesso su di me» e invece si ritrova con l'oro mondiale dei suoi duecento di nuovo al collo.

Per la verità si ritrova con molto altro al collo. Settima medaglia di fila iridata come mai nessuno, né uomo né donna, e prima donna ad essere riuscita a battere quel mostro acquatico di Katie Ledecky, seconda e con il morale storto e forse incredula più di Fede (1.54.73 la Pellegrini, 1.55.18 l'americana appaiata all'australiana Emma McKeon). Federica che solo l'altro ieri aveva detto e sottolineato «mi sento bene, mi sento in forma, ma sia chiaro che si lotta per l'argento, per il podio, il primo posto è già stato ipotecato...».

Divina, adesso e per sempre. Perché emoziona il trionfo di chi per un anno ancora aveva deciso di lottare e faticare e ammazzarsi di allenamenti «quando a 28 anni non è che recuperi più con la facilità degli altri». Un anno ancora dopo aver scacciato via i propositi di ritiro, le lacrime di delusione per un'Olimpiade finita mestamente ma con la franchezza forte e femmina, mesi dopo, di dire quello che spesso non si dice, per pudore, per imbarazzo, per quei tabù che ci portiamo dietro. Il ciclo calcolato male e piombato a disturbare i suoi Giochi brasiliani.

Divina nella sua umanità e femminilità, Fede. Perché ieri l'unica frase che ha ripetuto, tanto e spesso, era «non ci credo, non ci credo e mai avrei scommesso su di me, tanto meno una volta in acqua». Perché era quinta ai 50, era quarta ai 100, quarta ancora ai 150, passaggio in 1.25.91, e nessuno mai a quel punto avrebbe puntato niente sugli ultimi cinquanta. «All'inizio mi era parso che tutti andassero al rallentatore, poi ai 150 ho capito che in fondo eravamo tutti lì, e allora perché non giocarmela...». Se l'è giocata. Ultimi cinquanta metri in 28''92, praticamente un secondo rifilato alla Ledecky, alla regina, alla Divina d'America. «Sì, incredibile, e non vedevo niente, ero immersa nella schiuma, ho nuotato dando tutto ma non pensando più niente, non ho mai creduto di poter vincere, mai, mi ero tuffata solo sperando di riuscire a conquistare la settima medaglia, e mentre nuotavo mi domandavo ma perché sono ancora tutte qua con me, pensavo che l'australiana se ne sarebbe andata... Invece ai 150 ho chiuso gli occhi e... non ci credo neppure adesso».

«Oddio». Adesso e solo adesso è Divina, Fede. Perché quando si è girata e ha invocato incredula il dio del nuoto e il Dio di tutti, è montata per magia e con forza sui galleggianti, ha guardato un'altra volta l'arena in delirio per lei e poi ha sbattuto con forza le braccia una, due, tre volte nell'acqua blu. Sembrano un saluto. Erano un saluto. «Avete visto il mio ultimo 200, d'ora in poi mi dedicherò solo alle staffette e ai 100 stile». Altre sorprese, altre emozioni.

Cose divine.

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