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La madre di tutte le rivincite e quei rigori ancora indigesti

La notte dell'Olimpico nell'84, Conti e Graziani stregati da Grobbelaar. E un'occasione che potrebbe ritornare...

La madre di tutte le rivincite e quei rigori ancora indigesti

Per il popolo giallorosso non è Roma-Liverpool ma è «romaliverpul», un'unica parola, un unico incubo lungo trentaquattro anni. Perché il tifoso all'ombra der Cuppolone è sempre stato convinto che un'occasione come quella del 1984, la finale della coppa dei Campioni e per di più in casa, nell'Olimpico pre-Italia 90, lo stadio con la peggiore visibilità d'Europa, non sarebbe ricapitata più. Perciò quel dolore non si è mai davvero rimarginato. Perché un conto è tifare per il Milan, la Juventus o l'Inter, che hanno disputato 25 finali in 62 edizioni e quindi sanno che ogni tanto ci potranno riprovare. E un conto è esser tifosi di una delle tante altra squadre italiane, che sono arrivate in finale solo tre volte (Fiorentina 1957, Roma 1984 e Sampdoria 1992) perdendo sempre. Tanto per capirci.

Era il 30 maggio 1984. La Roma l'anno prima aveva vinto il suo secondo scudetto, il primo vero, essendo stato quello del 1942 figlio della guerra e di un altro calcio. L'allenatore era Nils Liedholm che già si sapeva sarebbe andato al Milan e gli sarebbe capitato di gestire il trapasso all'era berlusconiana. Le stelle erano Paulo Roberto Falcao, uno dei giocatori più eleganti della storia, il bomber Roberto Pruzzo, Bruno Conti ancora ebbro del trionfo mundial, Agostino Di Bartolomei che avrebbe gettato quella notte maledetta nella sua terra silenziosa e inquieta il seme di quel dolore che sarebbe germogliato esattamente dieci anni dopo, il 30 maggio 1994, giorno del suicidio. C'erano il portiere pararigori Franco Tancredi, che quella sera però non ne prese uno, i terzini Maldera e Nela, il giovane centrale Righetti, il brasiliano triste Toninho Cerezo, il fantasista Odoacre Chierico, la seconda punta Francesco Graziani, che avrebbe avuto un ruolo non secondario nel mancato trionfo.

La Roma arrivò a quella finale dopo aver eliminato il Göteborg, i bulgari del Cska Sofia, gli «altri» tedeschi della Dinamo di Berlino, in semifinale i modesti scozzesi del Dundee United che pure avevano vinto 2-0 all'andata picchiando come fabbri. Al ritorno un 3-0 e le tante polemiche sulla presunta corruzione dell'arbitro francese Michel Vautrot. Un cammino che oggi sarebbe da girone di Europa League. Ma la finale, che finale! Contro il Liverpool che era il Barcellona dell'epoca e aveva vinto tre delle ultime sette coppe. La partita fu una lunga agonia torcibudella: gol di Neal su uscita sbagliata di Tancredi che forse aveva subito un fallo, pareggio a fine primo tempo di Pruzzo di testa, poi quasi più nulla fino al centoventesimo. Si andò ai rigori, prima finale a finire così. Sbagliarono Conti e Graziani, che spedirono il pallone alle stelle ipnotizzati dalle danze surreali e irridenti del portiere dei Reds Bruce Grobbelaar. E fu psicodramma. Duecentomila romanisti che non avevano trovato il biglietto e si erano radunati al Circo Massimo piansero con Antonello Venditti che cantava Notte prima degli esami. Oggi un'altra notte, un altro esame.

Ripetenti dopo 34 anni, sempre meglio che mai.

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