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"Mai vista quella coca" Un altro giallo sulla fine di Pantani

L'infermiere che entrò nella stanza d'albergo rivela al programma Top Secret: "Hanno spostato il cadavere, quella pallina di bolo alimentare non c'era"

"Mai vista quella coca" Un altro giallo sulla fine di Pantani

Ha deciso di parlare perché tutti hanno deciso di stare zitti. Anselmo, questo non è un nome di fantasia, ma è il nome dell'infermiere che per primo è entrato nella stanza D5 del Residence "Le Rose" di Rimini la sera del 14 febbraio 2004, quando fu trovato privo di vita Marco Pantani. Anselmo ha deciso di parlare e lo fa per la prima volta in esclusiva con Top Secret, il programma di Claudio Brachino in onda su Canale 5 questa sera. L'intervista, così come la ricostruzione dei fatti, è firmata da Davide De Zan, che dopo aver raccontato la nascita e le gesta del Pirata per le reti di Mediaset (in quegli anni il Giro era targato Canale 5), da almeno due anni segue con assoluta attenzione la riapertura del "caso Pantani" e tutte le contraddizioni emerse da una capillare inchiesta condotta dall'avvocato della famiglia Pantani Antonio De Rensis.

Davide, tutto ruota attorno a quella ormai famosissima pallina di bolo alimentare mischiata a cocaina ritrovata a fianco del corpo privo di vita di Marco e che presenta tanti lati oscuri.

«È esattamente così, quella pallina resta uno dei tanti tasselli che ci sono ma non dovrebbero esserci».

In che senso? Di solito i tasselli servono a completare un quadro d'insieme.

«O anche a confonderlo, ma andiamo con ordine. Per dieci anni Anselmo, l'infermiere del 118 di Rimini, accetta la versione dei fatti: morte per overdose. Poi un bel giorno noi di Canale 5 mostriamo le immagini di quella stanza, dove si è consumato il dramma umano del Pirata. Il disordine ordinato e quella pallina accanto al corpo di Marco. Anselmo vede e dice: ma quella pallina non c'era. A questo punto cosa decide di fare: da buon cittadino fa in modo di incontrare Antonio De Rensis, l'avvocato che per conto della famiglia Pantani sta cercando in tutti i modi di far prevalere la verità. Anselmo parla con De Rensis, racconta di quella sera del 14 febbraio e a quel punto l'avvocato consiglia l'infermiere di andare a deporre una propria testimonianza davanti al piemme Giovagnoli, che la scorsa estate aveva riaperto il caso sulla base della ponderosa denuncia presentata dalla madre del ciclista, la signora Tonina, la quale ipotizzava uno scenario da brividi: omicidio. Anselmo, da buon cittadino, va da Giovagnoli e rende testimonianza, fornisce la sua versione dei fatti, che consiste nel fatto che quella pallina sul luogo della morte non c'era».

E dopo?

«Questo è avvenuto sei mesi fa, ma visto il persistere del silenzio, nonostante questo infermiere sia persona estremamente schiva, decide di parlare. Ci ha messo la faccia. Quello che questa sera gli spettatori potranno vedere e ascoltare sono cinque minuti di intervista estrapolati da un'ora di racconto. Quello che lui dice è che il cadavere è stato spostato, tutto quel sangue non l'aveva visto perché era sotto il corpo del Pirata. Racconta che sono stati più di mezzora vicino al corpo di Marco lui e i suoi altri due colleghi, oltre alla dottoressa, e non hanno visto nulla. Ma è bene sottolineare che il raggio d'azione dove loro hanno operato era di 60 cm, e non potevano non vedere. Non c'era la pallina e non c'era neanche la cocaina sulla mensola, dove era posta la bottiglia. Sia ben chiaro, Anselmo non ha testimoniato da Giovagnoli da solo, ma con tutto lo staff: lui, i suoi due colleghi infermieri e la dottoressa».

Che idea ti sei fatto?

«Che Anselmo è persona assolutamente a modo e credibile, e questa morte non può essere catalogata come morte naturale. Qualcuno quella sera entrò nella camera di Marco e cambiò le carte in tavola.

Questa storia non può essere liquidata con un semplice "top secret"».

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