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Maldini riparte da lì. Pantaloncini o cravatta, Udine nel suo destino

Paolo torna dove esordì da calciatore nell'85 Ora lo fa da dirigente. Ed è tutto più complicato

Maldini riparte da lì. Pantaloncini o cravatta, Udine nel suo destino

«Paolo, dove vuoi jocare?». Nils Liedholm, allenatore del Milan presieduto da Giussy Farina a quel tempo già a corto di moneta, era fatto così. Capacissimo di chiedere lui, con quel po' po' di carriera alle spalle, a un ragazzino di appena 16 anni e qualche mese, dove gradisse giocare. E non in un banale allenamento di metà settimana ma in occasione del debutto in serie A, nel freddo pungente di Udinese, una domenica pomeriggio di 34 anni prima, il 20 gennaio dell'85. E Paolo, Paolo Maldini rispose per nulla stupito da quel quesito. «A destra mi trovo meglio» spiegò a mezza voce. E destra fu. Già perché il più forte numero 3 del calcio italiano dei tempi moderni era un destro naturale e solo più tardi cambiò lato senza perdere una briciola del suo immenso talento naturale, anzi arricchendolo. Aveva indosso la maglia numero 14, sostituto di Battistini, uscito per infortunio e quel ragazzo dalla faccia di bambino mostrò subito le sue qualità. I filmati dell'epoca, oltre che celebrare la famosa schiatta, segnalarono un paio di interventi in scivolata a dimostrazione della personalità già scolpita a dispetto dell'anagrafe e del tempismo negli interventi che furono poi il suo pezzo forte. Allora fu l'incipit di una carriera strepitosa, da calciatore, capitano del Milan degli Invincibili, successore di papà Cesare che lo vide alzare al cielo di Manchester e Atene la coppa dei Campioni, col record di presenze collezionate (647).

Oggi, 34 anni e qualche mese dopo, Paolo Maldini ricomincia un'altra vita nel Milan vestendo i panni borghesi del responsabile dell'area tecnica rossonera, scelto da Gazidis per succedere a Leonardo partito per Parigi. Allora Paolo, a sentire i racconti stregati di sodali e cronisti presenti in Friuli, nemmeno avvertì il brivido dell'evento. Di sicuro sarà diverso questo pomeriggio nello stesso stadio, durante le ore che scandiranno il debutto del nuovo Milan, questo sì griffato Paolo Maldini che per strada ha chiesto e ottenuto di lavorare al fianco di un altro notabile del Milan glorioso, Zvomir Boban. È la prima volta, dopo l'apprendistato col brasiliano, che ogni scelta, dal tecnico Giampaolo ai cinque volti nuovi fin qui introdotti a Milanello, è firmata da lui, in prima persona, coinvolto a pieno titolo nella lenta e complicata (per i paletti dell'Uefa) ricostruzione del club che è ancora alle prese con la traversata del deserto. L'ultimo successo consegnato alla bacheca è ancora la supercoppa d'Italia, vinta a Doha, con Montella in panchina e Donnarumma gatto volante sul rigore di Dybala, dicembre 2016: un'era calcistica fa.

A rileggere le riflessioni del presidente Paolo Scaroni è venuto il tempo di riprendere a fare il Milan per non disperdere quel patrimonio di popolarità mondiale («con le sue 7 Champions il Milan nemmeno la vede la Juve che vince solo in Italia») che viene sbandierato quando c'è da dimenticare una delusione. Non ha ancora completato il suo lavoro Paolo: lo giudicheremo nei prossimi mesi.

Ma sgabbiare bene dai blocchi del campionato, con un risultato migliore di quell'1 a 1 lontanissimo, sarebbe già un altro segno del destino.

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