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#MeToo, furia Di Rocco: "Non sono smemorato. Quel problema c'era"

Il presidente: "Dicono che non ricordo? Non è vero". Intanto, il ct delle donne Salvoldi adesso si difende

#MeToo, furia Di Rocco: "Non sono smemorato. Quel problema c'era"

Renato Di Rocco non è certo più un giovincello, ma i suoi 72 anni li porta con assoluta disinvoltura, anche se non ha nessunissima intenzione di passare per quello che non è: uno smemorato, «o peggio, per un vecchio rinco», ci dice cercando di dissimulare il momento delicato, con una mezza battuta. È così: il numero uno del ciclismo italiano non vuole assolutamente passare per quello che non ricorda o si rimangia quanto ha raccontato qualche settimana fa proprio a noi de Il Giornale, quando abbiamo portato a galla il caso #metooazzurro. In quell'occasione parlò di un caso isolato e di un rapporto consenziente tra un tecnico azzurro e un'atleta, problema che fu immediatamente affrontato con un richiamo formale. Al Corriere della Sera, ieri, sulla vicenda è stato tutto un «non ricordo bene i fatti, ma la denuncia di Martinello era molto vaga e non presentava prove. Forse indagammo. Ma di certo non diffidammo il tecnico: non era nei nostri poteri». Ma Di Rocco da noi nuovamente contattato, conferma tutto: «Quello che ho detto lo confermo».

E sempre sul Giornale del 26 agosto scorso, Di Rocco parla di aver dotato la Federazione di una mail gestita da un organo terzo, messo a disposizione delle ragazze per denunciare ogni abuso o disagio psicologico. Il Corriere, invece, sostiene che il presidente Federale non si ricordi nemmeno l'indirizzo mail. «Ricordo però molto bene di averne parlato in pubblico a Castelnuovo Vomano lo scorso 27 luglio, in occasione di un incontro di formazione obbligatorio per tutte le ragazze juniores (17/18 anni) e, a parte, con le ragazze élite, incontro aperto anche ai loro tecnici e genitori ci spiega il presidente -. Eravamo alla vigilia della sfida tricolore e diedi l'indirizzo di posta gestito da terzi che garantisce l'anonimato a tutte le ragazze, davanti ad una platea di almeno 90 persone. Con me, tra le altre, c'era anche Alessandra Cappellotto, ex campionessa del mondo da sempre molto attenta e impegnata in campo femminile. Insomma, l'indirizzo è stato dato molto prima che scoppiasse il caso #MeToo». E se gli si chiede l'indirizzo, Di Rocco non tentenna. «Anche perché è molto facile: odv231@federciclismo.it. E Odv sta per Organo di vigilanza. È vero, sul sito Federale non c'era nulla, ma dall'altra sera c'è». Sull'inchiesta, invece, Di Rocco preferisce non parlare: «Non per altro, ma per rispetto di chi sta portando avanti questa importante e delicata inchiesta», dice.

Edoardo Dino Salvoldi, invece, il ct azzurro delle ragazze, che per il ruolo ricoperto è al centro dell'indagine federale, è uscito ora allo scoperto per difendersi sulle colonne della Gazzetta dello Sport. «Sono molto stanco, questa vicenda mi ha consumato», dice dopo aver parlato per più di un'ora davanti all'avvocato Nicola Capozzoli della Procura Federale. «Sono stato chiamato solo perché sono il responsabile della struttura chiamata in causa», ha spiegato alla rosea. E alla domanda: esiste il #MeToo nel ciclismo? Salvoldi ha risposto: «Non lo so. Di storie e leggende è pieno il ciclismo, ne ho sentite tante anch'io, ma qual è la verità o il limite?».

Proprio così: qual è la verità o il limite? Alla Procura il compito di scoprirlo.

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