Guerra in Ucraina

Morto a Mariupol il numero uno al mondo del kickboxing

Maksym Kagal perde la vita a 30 anni dopo essersi arruolato nel battaglione Azov

Morto a Mariupol il numero uno al mondo del kickboxing

Il numero uno al mondo del kickboxing muore in battaglia a Mariupol. Nella città da giorni le forze russe combattono con la resistenza ucraina. A riportare la sconvolgente notizia è il giornale “The Kiev Independent”. La testata conferma appunto come l’idolo dei lottatori abbia avuto la peggio negli scontri avvenuti nella giornata del 26 marzo.

Maksym Kagal, noto per aver conquistato tutti i successi possibili nella disciplina dell’Iska (International sport karate association), spinto dal suo forte attaccamento alla patria, aveva deciso di spendersi per la causa comune. Lo sportivo, originario di Kremenchug, altro centro distrutto dai bombardamenti, aveva deciso quindi di unirsi alle forze speciali di Azov. Stiamo parlando, infatti, degli stessi reparti impegnati, sin dall’inizio della guerra nel Donbass, a fermare le truppe inviate da Putin.

Sebbene nei primi giorni, come riferiscono fonti interne, il suo apporto è stato decisivo per il battaglione nazionalista, il trentenne non c’è l’avrebbe fatta durante uno scontro a fuoco con l’artiglieria russa, che per lui si sarebbe rivelata fatale.

Appena diffusa la notizia, tantissimi i commenti di vicinanza per un ragazzo apprezzato non solo nel suo paese. Non passa inosservata, ad esempio, la reazione del suo allenatore Oleg Skirt, che ai taccuini di Ukrinform, ricordando colui che in Ucraina veniva chiamato “The Piston”, dichiara: “Dormi tranquillo, fratello, la terra è tua, ti vendicheremo”.

Kagal, comunque, non è stato il primo sportivo ucraino a perdere la vita sul campo di battaglia. Stessa sorte è toccata, purtroppo, al 25enne bomber dell’Hostomel Dmytro Martynenko, al 21enne centrocampista del Karpaty Vitalii Sapylo e al talento emergente della ginnastica Kateryna Dyachenko, la quale a soli 11 anni ha lasciato questo mondo a causa di un raid aereo.

Ecco perché lo sport non intende lasciare sole quelle persone impegnate sul fronte della resistenza. Hanno indossato l’uniforme il campione del basket Sacha Volkov, l’ex numero 4 al mondo del tennis Andrei Medvedev, il collega Sergey Stakhovsky e i fratelli Klitshenko, ex pugili conosciuti in tutto il pianeta. Non sono sul fronte, ma comunque vicini al loro popolo con iniziative di solidarietà anche i big del calcio.

Basti pensare all’ex allenatore della nazionale ucraina Andriy Shevchenko, impegnato a salvare ben 150 rifugiati o ai talenti dell’Atalanta Ruslan Malinovskyi e del West Ham Andriy Yarmolenko, da giorni attivi sui social per promuovere campagne utili ad aiutare le persone coinvolte nel conflitto.

Commenti