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Murray riposa e arriva sul tetto del mondo È il primo britannico 80 anni dopo Perry

Lo scozzese in finale a Bercy scalza Djokovic, in testa per 122 settimane

Sergio Arcobelli

Lo scorso anno festeggiò il suo matrimonio con Kim Sears tra fiocchi di neve e cornamuse. Quest'oggi, invece, non avrà tempo di festeggiare perché proverà a conquistare l'ennesimo titolo di una stagione da incorniciare. Ma siamo certi che scenderà in campo più rilassato, ora che ufficialmente diventerà il nuovo numero uno al mondo. Andy Murray ce l'ha fatta. Senza nemmeno giocare. Il caso ha voluto che il suo avversario di turno, il canadese Milos Raonic, si infortunasse (lesione al quadricipite, salterà le finali di Londra) proprio un attimo prima della semifinale del Masters di Parigi Bercy. Si potrà dire che Murray sia un tipo piuttosto fortunato, perché Raonic è avversario tosto, ma non si può negare che lo scozzese si sia ampiamente meritato il riconoscimento di numero uno. Così è stato dalla primavera in poi. Dal Roland Garros, perso in finale con Djokovic, fino a queste ultime battute, non c'è stato avversario che riuscisse a contrastare questo Murray, alla migliore annata della carriera. Un'annata che fino a due giorni fa poteva definirsi "good" ma che adesso diventa, per forza di cose, "amazing". Perché anche solo pensare di riuscire a scalzare il coetaneo e rivale di mille battaglie Novak Djokovic dopo 122 settimane consecutive sul trono era da folli. Invece, carpe diem. Lo scozzese ha approfittato di una seconda parte della stagione tribolata di Novak, passato da una versione robotica a una "umana", funestato da problemi fisici, al polso, e da una crisi matrimoniale, poi superata, con la moglie Jelena. Al contrario, la vita di Andy è svoltata, in meglio, da quando si è sposato con Kim. «Lei ed io stiamo insieme da quando avevamo diciott'anni. Abbiamo avuto alti e bassi, come tutti, ma con la vita che ho e i viaggi continui è stato un impegno davvero importante per noi, fin da ragazzi».

Quest'anno, tra le altre cose, è diventato padre di Sophia, nata subito dopo l'Australian Open. «È qualcosa che mi ha cambiato la vita e messo alla prova. Una volta Kim mi disse di aver letto un articolo in cui si incolpava nostra figlia per una mia sconfitta. È una cosa orribile da dire. Preferisco svegliarmi la notte ed essere lì per lei che vincere ogni incontro. Essere un buon padre è più importante che vincere, ad esempio, altri due-tre Slam. Ne sono sicuro». E invece, nonostante Sophia, ce l'ha fatta. Forse, a Murray è andata persino meglio. In questa stagione trionfale il 29enne scozzese si è aggiudicato, nell'ordine, il torneo di "casa" di Wimbledon, le Olimpiadi di Rio e, come già annunciato, salirà da lunedì al vertice mondiale. Per ricordare un simile evento per un britannico occorre risalire addirittura all'era pre-open: l'ultimo a riuscirsi fu Fred Perry, 80 anni fa.

Inoltre, a 29 anni e mezzo, Andy Murray diventa il secondo giocatore più anziano al numero 1 dopo l'australiano John Newcombe, arrivato in cima alla classifica a 30 anni, il 3 giugno 1974. «All'inizio della mia carriera ho sempre voluto vincere un Grande Slam, ma con il passare degli anni diventare il numero uno del mondo era qualcosa che inseguivo. Avevo bisogno di migliorare come solidità e nelle ultime due stagioni ci sono riuscito».

Che suonino le cornamuse.

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