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Najla, una vita di corsa per sfuggire al matrimonio combinato

Najla Aqdeir è una mezzofondista tesserata per la Bracco Atletica di Milano. Arrivata in Italia dalla Libia nel 2005 con la famiglia, ha detto no al matrimonio combinato che le volevano imporre. "Corro per essere libera di scegliere"

Najla, una vita di corsa per sfuggire al matrimonio combinato

Nascere e crescere in una famiglia islamica può diventare un problema. Come successo a Najla Aqdeir, 23 anni, nata in Libia e trasferitasi in Italia con i genitori nel 2005. Najla, mezzofondista tesserata per la società Bracco Atletica di Milano, è una rifugiata politica. Non è venuta nel Belpaese con il barcone, ma le autorità italiane le hanno concesso l'asilo politico per la - triste - storia che l'ha vista protagonista. Una storia di riscatto dalle umiliazioni e dalle privazioni che i suoi genitori - di stretta osservanza religiosa musulmana - le volevano imporre. Come racconta Il Giorno, qualche tempo dopo il suo arrivo in Italia la madre la porta in Marocco. Il motivo? Sposare un uomo ben più grande di lei, ovviamente mai conosciuto. Il classico matrimonio combinato.

Ma Najla non ci sta. "Dissi no, quel matrimonio combinato non lo volevo, perciò chiamai il mio allenatore e tornai in Italia. Volevo parlare con mio padre, speravo mi comprendesse, gli avrei detto che magari avrei sposato un uomo libico per farlo felice". E invece no. Najla prende il coraggio di rivelare la sua relazione con un ragazzo italiano. Vuole avere una vita normale come tutte le sue coetanee, in campo sentimentale e in quello sportivo. Il padre non vuole, non capisce. E la rinchiude in casa. "Il fatto che corressi in mutande non andava giù a mio padre, ma io posso anche capirlo... Mi faceva pena ma anche tenerezza, era la sua cultura che lo spingeva a dire quelle cose", racconta Najla. Che fare? Accettare la situazione o ripudiare la propria famiglia?

Dopo una lunga riflessione la ragazza decide di denunciare i genitori. Viene affidata a una comunità protetta e al tempo stesso continua a portare avanti la sua passione per l'atletica. Un giorno, durante un allenamento all'Arena Civica, rimane folgorata da una nuova disciplina, i 400 ostacoli. Simbolo delle difficoltà trovate nel suo percorso di liberazione dai lacci culturali che le imponeva la famiglia. Correre per dimenticare, scappare dall'oscurantismo e affermare la propria libera personalità. Il permesso di soggiorno le sta per scadere, allora prova a chiedere lo status di rifugiato.

Che le viene concesso, consentendole di fare sport (dai 400 ostacoli è passata agli 800 metri e poi ai 3 mila siepi). "Il mio sogno? Partecipare alle Olimpiadi con la nazionale dei rifugiati. Altrimenti aspetterò".

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