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Un oro chiamato amore. La leggenda di Fede umana solo nelle lacrime

Pellegrini al quarto titolo e all'ottava medaglia iridata di fila nei 200. «È l'ultimo mondiale...»

Un oro chiamato amore. La leggenda di Fede umana solo nelle lacrime

Un amore di medaglia, una medaglia chiamata Amore. Federica Pellegrini si regala il titolo di questa ultima storia mondiale. Ci ha messo le lacrime, poi il sorriso e insieme l'incredulità. Ha chiamato il pubblico allo show salendo dall'acqua come una sirena. Araba fenice nel suo splendore. Dice: «Sono in estasi», con la naturalezza della campionessa che ha davvero fatto l'amore con la gara prediletta, 200 metri volati via, inseguendo una medaglia e ritrovandosi con un tempo (1'5422) che neppure la miglior vita agonistica le aveva regalato, se non gareggiando con i famosi e devianti costumoni. Le avversarie lasciate sul campo, in ogni senso. Lei meno imperiosa nei primi 100 metri rispetto alla semifinale, devastante nei 50 finali. La wonder woman Ledecky in tribuna a contare i secondi della Pellegrini, e non stiamo a dire: se ci fosse stata? Non c'era. L'australiana Titmus aggrappata alla sua scia e la regina Sjostroem ancora una volta a luna riversa, non è annata: tanto da star male al bordo della piscina con maschera ad ossigeno sulla faccia.

Ieri Federica era un Amore di campionessa, nata e vissuta senza ombre che non fossero quelle del carattere. Eppure il tempo le ha reso giustizia anche nell'essere più simpatica: capelli meno spettinati di altre volte, serenità sul viso, tranquillità d'animo di una ragazza che ha scacciato diavoletti malevoli che intorpidiscono i muscoli e alimentano il malessere con se stessi e il mondo. E lì, sul podio di Gwangju, beata, ascolta l'inno, canta, batte le mani, si ripete come in un refrain: «Non ci si abitua mai». Quattro ori mondiali scanditi in 16 stagioni, in ognuno di essi si sono viste mano dei tecnici e caparbietà dell'atleta: otto podi di fila. Stavolta una scommessa vinta, dice lei. Stavolta potrebbe essere la campionessa di una medaglia nata per caso. Ma può essere un Amore nato per caso? Ammette che non ci credeva. «Sono arrivata in Corea quasi di passaggio». Due anni vagando tra i 100 metri ed altro, tenendo nel cassetto l'idea dei 200 sl dopo la meravigliosa storia di Budapest. Invece Federica ha riscoperto una magia restando aggrappata all'unico credo che l'abbia mai convinta. Pronuncia la parola «lavorare» con intensità e convinzione che farebbero piacere ad un Conte o a un Sarri, vista la fede calcistica. «A me è sempre piaciuto faticare».

Una campionessa umana quando si fa prendere da una scarica di pianto e dice: «È l'ultimo mondiale: non potevo chiudere meglio. Piango perché sono contenta dell'oro. Non crediate! Con il nuoto ho vissuto emozioni forti, spero di ritrovarle in altri modi nella vita».

Vincere e non mollare. C'è ancora Tokyo 2020. Ieri, poco dopo il successo, ha corso la staffetta mista con record italiano. La staffetta è trascinante, un altro amore: ne ha in programma diverse. Non vuole mollarle, forse meglio eliminare i 100 sl , dice lei. Gareggiare in gruppo la affranca un po' dal copione di ogni storia. «Ancor oggi, che sto per compiere 31 anni, mi lascio mangiare dalle tensioni: non dormi, ti tormenti». Non ci si abitua mai.

Anche alla pensione (agonistica).

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