Oro della normalità, quando i supermen hanno la pancetta

Il perito tecnico Galiazzo, il redento Nespoli e highlander Frangilli dovevano vendicare Pechino. Ci sono riusciti con l'ultimo centro

Italia che scocca, Italia che tocca, Italia che spara e tira, Italia di medaglie, ma solo loro, il perito tecnico Marco Galiazzo, il redento Mauro Nespoli e highlander Michele Frangilli hanno avuto la sfrontatezza di fare i Robin Hood in casa di Robin Hood. Risultato: si sono portati via l'intero bottino. Succede tutto al Lord's Cricket Ground di Londra, che non è Nottingham, ma resta discretamente nobile e ieri sembrava persino Wembley. Pieno di gente così. Succede che un ragazzo che aveva molto da perdonarsi, un ragazzo pacioso e un uomo con una grande dedica nel cuore diventino una macchina da guerra. Succede che Taiwan è battuta, che anche lo spauracchio Cina scappa via nei quarti e allora è semifinale con il Messico, via anche lui, e allora gli States, niente da fare anche per gli arcieri a stelle e strisce. È oro, trionfo, 219 a 218, Pechino vendicata.
L'arco è uno sport strano. Tanto affascinante e tanto mutevole. Basta un nulla. Prendiamo Nespoli, ad esempio. Ha vissuto per quattro anni con la pena nel cuore per quella freccia distratta che aveva spintonato giù dal gradino più alto del podio lui e Galiazzo e «non mi do pace» ha sempre ripetuto. Ieri si è caricato la squadra sulle spalle, ha guidato lui. «Sì - confermerà Vella, il ct dei nostro Robin Hood -, la prima freccia è quella più impegnativa perché serve per dare fiducia ai ragazzi che tireranno dopo, per cui è fondamentale non sbagliarla… Sentivamo tantissimo la pressione, la sentivamo perché c'era da cancellare Pechino e quell'oro mancato e perché da Atlanta non scendiamo mai dal podio e non volevamo che accadesse… - pausa, sorride - e forse abbiamo esagerato e… adesso è oro».
Squadra magica, squadra ben pensata, persino strategica. Con un tocco di rosso, perché le frecce sono targate Ferrari. La prima, la più pesante, sull'arco del ragazzo che doveva rifarsi di un errore, la seconda nelle mani abili e tranquille di quel metronomo della sfida di Galiazzo, padovano sereno, campione olimpico ad Atene 2004, solido ma ieri con degli alti e bassi che hanno un po' complicato la vita altrui. Infine la freccia più pesante, la freccia macigno, l'ultima, quella che vale la vittoria, la freccia affidata a Frangilli da Gallarate, varesotto, il grande del trio, colui che aveva più voglia di tutti di tornare in vetta e forse più motivi, lui l'arciere che col bronzo di Atlanta diede inizio alla saga dei Robin italiani, lui che a Pechino non c'era sostituito da Di Buò. «Sì, l'ho sentita pesantissima da tirare, ma subito dopo aver fatto centro ho pensato a mia madre Paola che è morta nel 2005» dirà fra le lacrime, lacrime che lo accompagneranno anche sul podio. «Lei c'era alle olimpiadi di Atlanta e c'era anche ad Atene, e venne nonostante stesse male. Ma lì, purtroppo, non sono riuscito a vincere. Stavolta, sono sicuro, da lassù lei mi ha aiutato».
Italia che scocca, Italia che emoziona, Italia fatta di ragazzi con molti conti da regolare, chi con lo sport, chi con la vita. «Questa è l'emozione più grande» urla di gioia il presidente Federale Mario Scarzella mentre la squadra dedica il successo al capo dello Stato Napolitano, «e sono fiero di loro, hanno fatto gruppo, si sono incoraggiati e spronati, perché hanno tirato in amicizia con grande disponibilità tra di loro, si incoraggiavano se una freccia era sbagliata e sorridevano se prendevano il 10. È la più bella soddisfazione che abbia mai vissuto» prosegue il dirigente rivelando una grande verità poi confermata dalle parole di Nespoli e Galiazzo.
Dirà infatti Mauro: «Con l'ultima freccia di Frangilli mi sono sentito in una botte di ferro, ero sicuro che Michele non avrebbe sbagliato». E dirà Marco con il suo solito fare bonario: «E io in gara ho tranquillizzato Nespoli; quanto a questo oro è bellissimo, ma nei prossimi giorni lo sarà ancor di più…». Forse si riferisce alla sensazione che sarà. Forse, più probabilmente, allude alla prossima sfida. Perché il gioco di squadra è finito: adesso inizia la caccia all'oro più oro di tutti per un atleta.

Quello tutto suo.

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