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Premier fabbrica di sbandati Tre su 5 finiscono in miseria

Da James a Merson, da Best a Gascoigne: tutti nei guai nei cinque anni successivi alla conclusione della carriera

Una ventina di magliette autografate, una Opel viola scassata, un giradischi, qualche vinile, una bici, una motosega, alcune tazze da te spaiate. Sono gli unici oggetti che i creditori hanno lasciato in tasca a David James da Weleyn Garden City, 1.013 presenze, undici anni in Premier, tre da portiere titolare della nazionale, 30 milioni di sterline guadagnate in carriera. A maggio James ha dichiarato bancarotta, i creditori gli sono entrati da dietro e una casa d'aste del Kent ha battuto le sue ultime proprietà. Era all'AFC Bournemouth quando firmò un contratto con opzione per la successiva stagione dopo 20 presenze. A 19 l'allenatore non lo mise più in campo. Aveva 42 anni e le cose erano iniziate già ad andare male con la separazione dalla moglie e una serie di investimenti in proprietà immobiliari fantasma. James ha venduto tutto ed è fuggito in Islanda, oggi è al Kerala Blasters nella Indian Super League, futuro incerto, ma a lui è andata ancora bene.

Paul Merson era un centrocampista offensivo dell'Arsenal fino ai primi anni del 2000, un artista che il ct Graham Taylor convocò stabilmente. Una notte venne salvato dalla polizia che lo sottrasse a una banda di malviventi che volevano scuoiarlo, lui non ricorda cosa avesse acceso la mischia, era completamente fuori di coca. Paul è entrato e uscito dall'alcolismo e dalla depressione quando ancora giocava, arrivava agli allenamenti e piangeva, ai compagni confidava che si pentiva di quanto aveva combinato la sera prima nei privè. Quello che riuscì a tenere in tasca gli volò via nel gioco d'azzardo. In un raro momento di lucidità diede alle stampe “Come non essere un calciatore professionista”, un manuale indispensabile. Jason Singh, ex Newcastle, al termine della carriera era talmente a secco che la polizia inglese lo prese in simpatia arruolandolo. Lui intuì che si poteva guadagnare molto di più schierandosi con gli avversari ed è diventato la mente di una banda di narco che importava dal Sudamerica e smistava nel West Yorkshire.

George Best è l'eccellenza, Paul Gascoigne il caso più recente. Una volta terminata la vita da professionisti, tre giocatori su cinque della Premier finiscono in mezzo a una strada entro i primi cinque anni. Tutta gente da 140mila euro al mese. Il dato umiliante è stato reso pubblico da XPro, una associazione nata per tutelare il loro dopo carriera. Quando ha svolto la ricerca, XPro ha dovuto constatare come 126 di loro erano finiti al gabbio per reati legati all'indigenza. Le percentuali si alzano per quelli che dopo poche stagioni sono usciti dal grande giro e non avendo altre risorse si sono arrangiati. Oggi di questa associazione non esiste più traccia, un'altra fine incresciosa. In miseria ci sono finiti anche quelli che la Premier non l'hanno mai vista come Jean Marc Bosman, il belga, quello del parametro zero diciotto anni fa. L'uomo inviso ai presidenti che ha liberato i calciatori, una volta finito in un mare di guai non ha ricevuto solidarietà neppure da loro: «Se mi devolvessero l'1 per cento di quanto guadagnano per merito mio sarei miliardario». Ha dilapidato tutto nell'alcool. Nel tempo libero picchiava la moglie che dopo un po' l'ha lasciato e non a costo zero.

Le vicissitudini di Andreas Brehme sono di questi giorni, 200 mila euro di debiti e una casa su cui grava un'ipoteca di 400. Anche Ivan Zamorano è nei guai. Almeno tre istituti cileni vantano un credito di quasi 3 milioni per inadempienze nelle sue attività edili e di marketing. È sotto scacco, l'Equitalia cilena minaccia di confiscargli tutto. Negli Stati Uniti le probabilità degli ex giocatori dell'Nba e della Nhl di finire in miseria nei successivi cinque anni post attività sono elevatissime. Più guadagnano, più riescono a spendere in banalità e sempre con la fregatura dietro. Nell'Nba una carriera dura mediamente 4 anni, uno su tutti Shawn Kemp, fra i primi giocatori a passare dall'high school ai professionisti senza aver frequentato il college in quanto non era riuscito ad ottenere il minimo dei voti necessari per entrare all'università. Per carità, l'intelligenza non si misura con i voti dei teacher, ma dopo aver guadagnato 82 milioni di dollari un giorno confessò che stava morendo di fame, neppure i soldi per un hamburger. L'Unione Europea ha fiutato il dramma e ha stanziato dei denari che sono finiti chissà dove nell'assoluta indifferenza. Da noi la situazione non è così drammatica, l'Aic pensa alla ricollocazione degli ex calciatori. Sono loro che non ci pensano.

Alla domanda se sono preoccupati del loro futuro il 39,5 per cento ha risposto: «Poco o nulla».

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